Sono tutte situazioni che non stimolano la creatività e la voglia di socializzare.
In ufficio si sta compiendo il grande “pogrom”: la riorganizzazione.
Strani pennuti volano rasoterra (ma non abbastanza), veloci come smash, e temo che la padella antiaderente del 28 che mi sono astutamente infilato nel posteriore dei jeans possa non bastare. Proverò a sostituirla con la racchetta da beach. C’è scritto che è in carbonio, qualcosa farà…
interi stormi di questi cosi qui infestano i nostri uffici; speriamo solo che non intendano nidificare in pertugi disdicevoli!
Tra i colleghi, le cui facce sembrano maschere funerarie etrusche, girano fotocopie di organigrammi sempre diversi l’uno dall’altro e sempre più somiglianti alle sculture mobili di Alexander Calder che a strutture organizzative funzionali agli obiettivi della nostra attività lavorativa.
una prima ipotesi di organigramma
una seconda, più complessa ma altrettanto nefasta ipotesi di organigramma
I discorsi alla macchinetta del caffè, solitamente garruli, adesso spaziano tra l’interpretazione di alcuni passi oscuri dell’Apocalisse a discussioni millenaristiche su come si scatenerà la potenza distruttiva del male che opera nel mondo (la profezia dei Maya, l’asteroide Apophis, le centurie di Nostradamus, la forfora…). Nei corridoi si bisbiglia, si sussurra, si vocifera, si auspica, si suppone, si trama, si ordisce, mentre a gestire la riorganizzazione pare siano stati incaricati alcuni daiachi del Borneo (e chi ha letto Salgari sa bene cosa sto dicendo). Serve qualcosa per uscire dal tunnel.
Butto lì un’idea.
Forse il Team dovrebbe ritrovarsi.
Forse ci vorrebbe un nuovo torneo di fine inverno; possiamo provarci.
Astenersi perditempo.