Ricordate che qualche post fa accennavo al troppe volte rimandato match con la somma sbadilatrice e con la sua misteriosa e sfuggente amica?
Bene, alla fine l’evento tanto atteso si è consumato, nel pomeriggio di una fredda domenica.
E che poi quella domenica pomeriggio ci fosse qualcosa di diverso nell’aria lo si era percepito subito.
Allo Stop and Go, appostate discretamente dietro i pilastri di sostegno del capannone, c’erano una troupe del National Geographic ed una della rivista Nature.
E, nascosto sotto la sabbia, Piero Angela. Suo figlio Alberto si era invece infilato nell’imbottitura di un palo di sostegno della rete del campo 3, ma in maniera così goffa che lo si vedeva lontano un miglio. Cecchi Paone era invece pericolosamente annidato nelle docce dentro agli spogliatoi. Mancava solo Roberto Giacobbo, che si era perso per strada a parlare con un Maya del tesoro dei Templari.
Allo Stop and Go, appostate discretamente dietro i pilastri di sostegno del capannone, c’erano una troupe del National Geographic ed una della rivista Nature.
E, nascosto sotto la sabbia, Piero Angela. Suo figlio Alberto si era invece infilato nell’imbottitura di un palo di sostegno della rete del campo 3, ma in maniera così goffa che lo si vedeva lontano un miglio. Cecchi Paone era invece pericolosamente annidato nelle docce dentro agli spogliatoi. Mancava solo Roberto Giacobbo, che si era perso per strada a parlare con un Maya del tesoro dei Templari.
Alberto Angela mentre esamina alcuni reperti ritrovati dal padre
tra le sabbie dello Stop and Go. Sapesse cosa avevo trovato io!
Gnucco come sono, io sulle prime non avevo capito un piffero di quanto stesse succedendo…
Ma poco dopo, quando ho visto arrivare la più autorevole candidata all’assegnazione del Badile d’Oro 2010 dietro alla quale s’intravvedeva l’ombra di una sagoma sfuggente, ho avuto la rivelazione.
Ma poco dopo, quando ho visto arrivare la più autorevole candidata all’assegnazione del Badile d’Oro 2010 dietro alla quale s’intravvedeva l’ombra di una sagoma sfuggente, ho avuto la rivelazione.
Era finalmente comparsa la mitica amica: la chimera, il liocorno, l'araba fenice, che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa.
Inizialmente seminascosta in un felpone, la mitica amica ha cominciato a muoversi per il campo, annusando l’aria con diffidenza e sventagliando la racchetta sopra alla testa come per tenerci a bada. Le prime tre palle che le abbiamo lanciato le ha catturate e infilate rapidamente in un tascone (forse un marsupio?), probabilmente con l’intenzione di farne provvista per l’inverno. La quarta palla, invece, ce l’ha rimandata indietro.
Avevamo stabilito un contatto!
Pian piano allora abbiamo cominciato a palleggiare, immersi nel ronzio ovattato delle videocamere delle troupe maldestramente mimetizzate per documentare l’evento. Poi a gesti abbiamo concordato le modalità del gioco, chiarendone via via i concetti che in un primo momento sembravano essere stati fraintesi, e cioè che non vinceva chi tirava la palla più lontano, o più in alto, e tanto meno chi tramortiva a pallate l’avversario. Quasi al termine delle due ore è sembrato che questi princìpi fossero stati compresi e assimilati, anche se ormai era troppo tardi per iniziare a giocare seriamente, ed io ero barcollante per il continuo schiacciamento alle vertebre cervicali causato dalle ripetute osservazioni delle parabole dei pallonetti, e macchiato come un dalmata dagli ematomi blu causati dalle furibonde pallate che, quando mi mancavano, formavano profondi e pericolosi crateri sulla superficie sabbiosa, entro i quali rischiavo continuamente di precipitare.
Però man mano che si procedeva nel gioco, la tensione svaniva e il misterioso essere sembrava diventare sempre meno diffidente, tanto che le troupe sono cautamente uscite allo scoperto e, o raccogliendo e lanciandole una pallina uscita dal campo, o chiamandole buone delle palle palesemente fuori, hanno lentamente conquistato la sua fiducia.
Tanto che credo che qualcuno, con un artificio, sia addirittura riuscito a prelevarle alcuni campioni organici che serviranno probabilmente per mapparne il DNA.
Cosi potremo conoscere i segreti di uno degli ultimi esseri misteriosi del nostro pianeta.
Cosi potremo conoscere i segreti di uno degli ultimi esseri misteriosi del nostro pianeta.
Ora ci mancano solo il calamaro gigante degli abissi, lo yeti, il mostro di Loch Ness e abbiamo esaurito i misteri dell’universo mondo.
Quasi.
Rimane il mistero dei neutrini e della velocità della luce.
In questi giorni è naufragata l’ipotesi che avrebbe messo in discussione la teoria della relatività, pare per un errore di calibrazione dell’orologio che misurava il tempo del tragitto delle particelle dal CERN al Gran Sasso attraverso il mirabolante tunnel della Gelmini…
Bastava dirmelo! Avrei mandato quel mio collega di lavoro e tutto si sarebbe risolto!
Poi anch’io avevo elaborato una teoria sul perché tutti quei neutrini, chiusi nel tunnel, fossero schizzati via più veloci della luce, ma secondo me (cosa sfuggita ai fisici presi dall’euforia nell’osservazione del fenomeno) non proprio tutti tutti…
Tutti tranne uno: quello che aveva scorreggiato.
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