Tok…… tok!
Tokkititok!
Thump thump!
Slam!
Tinkle tinkle!
Sdeng!
Clang!
Butto la mano sul comodino e cerco a tastoni il cellulare per controllare l’ora, mentre realizzo che sono al mare e che è domenica mattina.
Le 7 e 40.
“Gulp!”, dico io, a proseguo: “Ma chi è quel rompicoglioni che fa le pulizie a quest’ora del mattino?”
“Grofszl” risponde l’essere che da svariati anni mi dorme a fianco.
Cerco di riaddormentarmi, mentre ricordo che già verso mezzanotte in un beato dormiveglia sognavo di essere ad Ascot al Grand Prix di galoppo, sogno veicolato dall’arrivo dei condomini dei piani di sopra, probabilmente Fred Astaire, Ginger Rogers e il loro cavallo preferito, Ribot – ferrato tacco dodici per l’occasione -, che hanno ballato languidamente insieme il “Cheeck to cheek” (o qualcosa del genere) fino all’una di notte.
Niente da fare, il tormento continua.
Mi alzo, infilo le ciabatte, esco nel cortiletto e guardo in su, cercando di individuare i responsabili. E dal balcone mi saluta sorridendo la vicina del primo piano, spazzolone alla mano. E come va e come non va, e finalmente la bella stagione ecc. ecc. , finchè non le chiedo un po’ sostenuto se non per caso era lei che stava facendo le pulizie a quell’ora infausta. Mi guarda sorpresa dicendo che no, giammai!, lei doveva ancora cominciare.
E nel frattempo spunta dal balcone di sopra il busto della vicina del secondo piano, guanti di gomma, Mocio Vileda nella mano destra e piumino Swiffer nella sinistra.
Espongo le mie civili rimostranze, saluto e rientro in casa, mentre le due erinni dell’igiene domestica mi osservano perplesse.
E del perché mi guardassero in quella maniera l’ho capito subito dopo, specchiandomi in bagno: oltre al fatto di essere in ciabatte e dentro un vecchio pigiama sgualcito, ero pettinato come un cacatua.
In quelle condizioni la mia autorevolezza non doveva essere decisamente granchè.
Comunque i rumori sono subito cessati, ma ormai ero sveglio. Mi sono sistemato la capigliatura alla bellemeglio, leccando ripetutamente il complicato shangai tricologico con un pettine bagnato. E ho fatto colazione, scrutando un cielo che non prometteva nulla di buono.
Quando siamo usciti per andare in spiaggia, mentre chiudevo il cancelletto ho buttato lo sguardo verso l’alto e le ho riviste, affacciate ai rispettivi balconi armate di tutto punto con cartuccere di spugnette e detergenti, pronte a far ululare i loro aspirapolvere.
Le ho fissate dritto in faccia, e con tutta la solennità di cui sono stato capace ho detto loro: “Ok ragazze: al mio segnale, scatenate l’inferno!”
Mi hanno guardato, di nuovo perplesse…
Per forza, ero pettinato come un’upupa!
la mia tipica acconciatura mattutina...
c'e' un motivo, e avremo modo di riparlarne a breve!
c'e' un motivo, e avremo modo di riparlarne a breve!
Partiamo in bici, e dopo cento metri comincia a piovigginare. Torniamo indietro e prendiamo l’auto per andare al bagno, mentre il mio cervello captava messaggi subliminali (inviati non ho capito bene da chi) che ripetevano: “Voglio andare a casa, voglio andare a casa…”.
Ma al bagno mi aspettavano la sbadilatrice ritrovata, due suoi amici e figlioli vari, tutti ansiosi di prendere a racchettate il maltempo che ci minacciava. C’era veramente un tempo da lupi, e la mia signora fissandomi rivoltava le pupille all’indietro di centottanta gradi mentre nel bianco dei suoi occhi compariva la scritta “Voglio andare a casa…”.
Ciononostante, in quello che ci era sembrato uno sprazzo di miglioramento, abbiamo deciso di azzardare una partitella, siamo usciti e abbiamo cominciato a toglierci le tute. Beh, almeno i campi erano liberi.
Mia moglie da dentro il bagno mi lanciava sguardi di fuoco ed io, interpretandone il labiale attraverso le vetrate del bagno, ho appreso la sua particolare posizione nei confronti del delicato tema dell’eutanasia. Infatti continuava a ripetermi, pur muta come un pesce nell’acquario, la seguente frase: “Se ti ammali, ti ammazzo!” Fortunatamente un colpo di vento, uno scroscio d’acqua e due orsi bianchi con le infradito che fuggivano dalla spiaggia ci hanno convinti a rinunciare definitivamente.
Ci siamo quindi rintanati nell’ospitale hall del Bagno Spina dove, lontani dalla frenesia dei racchettoni e chiacchierando di questo e di quello, ci siamo pian piano scoperti come persone, e anche di un certo spessore, mica degli scemi qualunque!
Per cui, giornata comunque positiva, alla facciaccia del maltempo.
Poi è arrivato il momento di andarcene, mentre arrivavano secchiate d’acqua da tutte le parti, peggio che ad un tappone alpino del Giro d’Italia. Quando ci siamo immessi in superstrada, l’asfalto era una lastra di acqua costellata di pozze che ti bloccavano a volte le ruote di destra, a volte quelle di sinistra: un incubo.
Allora ho pensato di telefonare alla Capitaneria di Porto (con tutta quell’acqua, la competenza non poteva essere che loro), con l’intenzione di chiedere se per caso, già che eran caldi, non potevano venire a sequestrare anche la superstrada, disastrata e pericolosa com’era…
Voi non ci crederete, ma non mi hanno minimamente cagato.