sabato 4 febbraio 2012

piccoli accorgimenti per sopravvivere alle insidie della neve

“Poropoppoppero poppoppò!” canticchiava un mio collega ieri mattina in ufficio percorrendo il corridoio. E rivolgendosi alla mia quasi dirimpettaia, le ha detto garrulo “Sai, quando mi senti cantare i motivi sono due: o sono molto contento o sono molto incasinato, e direi che stamattina l’ipotesi è la seconda!” 
O sei molto rincoglionito, ho pensato io. Così, come terza possibilità.
Come divevano i latini, "tertium datur".

Colpa della bufera, che ci ha colpiti così, inaspettatamente, proprio in inverno.
Sì, la neve di questi giorni ha rotto proprio i coglioni, sia nelle attività di ufficio che nella sfera privata. In ufficio ho vissuto da spettatore il grande marasma per ripulire le strade e cospargerle di sale (mi sono trattenuto a stento dal mandare ad un collega che so che sporadicamente mi legge e che era pesantemente coinvolto nell’emergenza, un sms che diceva “Mi raccomando, sala poco che ti va su la pressione”), e nel privato per prima cosa mi ha fatto saltare il tradizionale mercoledì beachtennistico e poi, cosa peggiore, mi ha obbligato a farmi carico di alcune sgradevoli incombenze condominiali.

Mercoledì, all’apparire dei primi fiocchi, ho comprato in una vicina ferramenta una pala da neve. Sulle prime avevo pensato di utilizzare la mia vecchia Turquoise Black Death, scordandomi che già la stavamo utilizzando in casa come tagliere per i formaggi.

il mio nuovo attrezzo: quasi quasi, se accorcio
il manico e gli rifaccio l'overgrip...

E ho cominciato a ripulire il marciapiede di fronte a casa.
Ho spalato due metri cubi di neve e dodici cacche di cane, che hanno sporcato con strisciate immonde l’attrezzo nuovo di zecca di cui ero orgoglioso, e rovinato la poesia e l’incanto del momento. 
L’ho ripulita alla bell’e meglio, strisciando e sventagliando cacca sul manto bianco come Jackson Pollock durante un action painting; poi mi sono dedicato al cortiletto interno e alla fine ho sparso il sale dappertutto come Scipione sulle rovine di Cartagine dopo le guerre puniche.

Alla fine della rumba, il mio era l’unico marciapiede pulito e sghiacciato del quartiere, cosa molto apprezzata dai cani dei dintorni che hanno ricominciato immediatamente a cagarci sopra.
Penso che a breve mi consulterò con Archimede Pitagorico, o forse con Wile Coyote o direttamente con l’ACME che gli fornisce tutti i marchingegni, e installerò sul muro davanti al marciapiede una botola a scomparsa con dentro un forbicione collegato ad un pantografo che quando arriva un cane e accenna ad accucciarsi nella tipica posa, la prima volta guizza fuori e –zac! – una sforbiciata al pelo della coda dell’animale e –zac! – via una braga al padrone, poi la seconda volta, dovessero riprovarci, - zac! – un’altra spuntatina al pelo della coda della bestiola (perché in fin dei conti la colpa non è sua) e – zac! -, via una palla al padrone.

sulla destra il risultato del primo taglio,
sulla sinistra quello del secondo...

Oppure installerò sullo zoccolo intonacato di casa su cui gli amici a quattro zampe, tenuti al guinzaglio dai padroni che li guardano con benevola indulgenza, amano tanto segnare il territorio, un cavetto di acciaio come quelli che si adoperano negli impianti antipiccione, che appena si avvicina l’animale e accenna ad alzare la zampetta, - zot! – giù una scarica da ventimila volts che arriccia i peli uguale a cane e padrone. Così poi se ne vanno via a passeggio che fanno pendant.
E nello stesso tempo perfezioniamo anche l’odioso colorito che esibisce in questo periodo la maggior parte dei proprietari dei cani (almeno della mia zona), che complice evidentemente l’appena trascorsa settimana bianca sono tutti così abbronzati che sembrano in procinto di essere convocati dalla nazionale del Camerun.
Eh, miei cari, la guerra è guerra e non c’è nessuna pietà, quando la maleducazione impera.

Temendo poi che tutta quella neve minacciasse inoltre di paralizzare anche i prossimi impegni beachtennistici, per cautelarmi, non appena finito di spalare, sono andato a mettere in moto l’auto preoccupato dal fatto che il freddo potesse scaricare la batteria.
Poi l’ho ripulita dal cumulo di neve che la stava sommergendo e, trattenuto solo dalla constatazione che le dita delle mie mani erano ormai color fucsia, ho pensato (ma solo pensato) di montare le catene…
L’ultima volta che ho tentato di farlo, per liberarmi hanno dovuto chiamare un fabbro. Ero talmente avviluppato da quella ferraglia che sembravo Antony Quinn che interpretava Zampanò, quello che faceva saltare le catene gonfiando il petto nel film “La strada” di Federico Fellini.
Il fabbro, tra l’altro, mentre cercava di districarmi dal complicato groviglio, mi ha leccato un orecchio convinto di trovarsi nel mezzo di un festino sadomaso. Quando gli ho spiegato che non era così, se n’è andato un po’ deluso.  E senza farmi la fattura.

Nonostante tutto venerdì sera sono riuscito ad andare a giocare. Da due settimane mi sono reso disponibile come tappabuchi e per due venerdì consecutivi mi hanno chiamato. Neanche a fare il quarto, bensì a fare l’ottavo (!), e così nella girandola dei set ho giocato con quattordici persone diverse…
Ormai ho dato il mio numero di telefono a destra e a manca: sto diventando il più grande puttanone dello Stop and Go.

E domani – forse – riuscirò a disputare il tante volte programmato e altrettante volte rimandato match con la più autorevole candidata al (purtroppo mai assegnato) Badile d’Oro 2010 e con una sua - altrettanto preannunciata ma mai vista – amica: mitica creatura avvolta dal mistero, un po’ come lo yeti - su cui ci sono solo leggende, presunti avvistamenti, tracce, ma sostanzialmente nulla di concreto. 
Se dovesse saltare la partita anche questa volta, credo che dovremo rinunciare definitivamente. Perchè forse allora dovremo davvero rassegnarci al fatto che gli dei ci sono contrari, e non vorrei mai che insistendo in questo folle progetto non rischiassimo di far cadere, oltre che tutta questa neve, anche quel meteorite che distruggerà definitivamente la vita sulla Terra.

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