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domenica 31 luglio 2011

un eroe dei nostri tempi - 2: fuga da Spinatraz

Poi finalmente la malattia è finita, e con tutte le cautele del caso ci siamo trasferiti a Spina. Dove mi sono ripromesso di sfuggire ai racchettoni, legandomi al lettino come Ulisse con le sirene. Ma prima ho fatto un salto nel mio nuovo ufficio, dove ho verificato come i facchini avessero piazzato tutti i pacchi del trasloco secondo l’innovativa disposizione denominata, in termini strettamente tecnici, “a culo in su”.
Ci penserò al mio ritorno, mi sono detto tra me e me, pur sapendo che il pensiero mi avrebbe tormentato per l’intero periodo delle ferie.
E prima ancora ho fatto una visita medica, per verificare che il malanno fosse risolto.
“Come va?”, mi ha chiesto la dottoressa.
“Meglio”, ho risposto.
Fine della visita, abile e arruolato. Ma prima di lasciarmi andare, consultando i vecchi referti, mi ha chiesto se avevo fatto la risonanza magnetica al “rachide lombare” (facendomi velatamente intendere, con uno sguardo complice, di ignorare il significato del termine).
“No”, ho risposto, “la farò ad inizio luglio”.
“Ah, bene, perché sa, lei è alto, e alle persone alte è facile che esca un’ernia… Ma cos’è, ha male anche lì davanti?”
“No, non ho male, poi le spiego…”
“Ah…”
“Eh…”

E siamo partiti per Spina. Vacanze zoppe ma pur sempre vacanze, nei primi giorni delle quali ho sperimentato cosa volesse dire “soffrire il supplizio di Tantalo”. Otto campi da racchettoni a disposizione, bel tempo, giocatori di primordine disponibili, ma oltre al disagio fisico che ancora mi tormentava, incombeva sospesa come una spada di Damocle sulla mia testa la velata minaccia di cosa mi avrebbe fatto la mia signora nel caso in cui io, osando giocare a racchettoni ancora convalescente, avessi avuto un anche pur leggera ricaduta: non solo mi avrebbe spennato, ma mi avrebbe anche passato sulla fiamma come si fa con i polli prima di metterli in pentola.
Viste le premesse, sulle prime sono stato piuttosto cauto, e sono rimasto sdraiato sul lettino con lo sguardo fisso ai campi e la lingua a penzoloni sulla sabbia. Poi pian pianino nella mia mente si è sviluppato un piano diabolico, grazie anche ai ricordi di quei film americani di genere carcerario ambientati nei più biechi penitenziari, ed in particolare alle vicende raccontate da Don Siegel nel magistrale “Fuga da Alcatraz”.


fuga da Spinatraz! Durante il primo tentativo, mentre cerco
di sbucare da una delle piastre in cemento della passerella

Quatto quatto ho raccattato materiali vari in riva al mare (ceppi di legno, meduse, polistirolo, alghe e reti), qualcosina ho fregato ai bimbi degli ombrelloni vicini (secchielli, palette, palloncini), e circospetto mi sono messo al lavoro.
Dopo poche ore di lavoro avevo pronti un pupazzo con le mie sembianze (anche più bello, secondo alcuni maligni), che ho piazzato sul lettino un po’ coperto dal telo, e un tunnel sotto la sabbia che secondo le mie intenzioni puntava dritto al campo numero 8.

dai, il pupazzo è venuto benino, ma io sono un po' meglio!

Al primo tentativo sono sbucato ai margini di un campo del Bagno Las Vegas, sono stato prontamente estratto dal tunnel per le orecchie dall’addetto ai lettini, preso per il coppino e scaraventato armi e bagagli oltre il confine tra i due bagni come un gatto randagio.
Al secondo tentativo sono spuntato dentro il casotto dei lettini, riuscendo a spaventare a morte gli addetti alla spiaggia, solitamente imperturbabili e loquaci come statue dell’isola di Pasqua, al terzo sotto un tavolino del bar del bagno Spina dove quattro pensionati attorniati dai loro fans stavano disputando la consueta partita di trionfo acrobatico (1).
Ho dovuto riesaminare tutti i calcoli di traiettorie e i piani di scavo e al quarto tentativo, dopo un ampio giro sotterraneo, sono sbucato – racchetta tra i denti -, a fianco del lettino di mia moglie… Che guardando un po’ stupita quel talpone spuntato dalla sabbia che tanto mi assomigliava, ha controllato subito il fagotto che c’era sul mio lettino (che anche per lei era meglio dell’originale!), ha fatto due più due, mi ha acchiappato per le orecchie (evidentemente la mania dell’estate), ha recuperato un guinzaglio, una catena e una ciotola d’acqua e mi ha legato al fungo di sostegno dell’ombrellone.
Fine della fuga.
Però non è giusto… A Clint Eastwood era andata meglio!

(1) - Il trionfo acrobatico è una particolare variante del tradizionale gioco di carte, praticata ai tavolini del Bagno Spina. Ne riparleremo in modo più circostanziato.

giovedì 30 giugno 2011

un eroe dei nostri tempi - 1

Questo blog sta diventando sempre meno uno spazio dedicato al beach tennis e sempre più un bollettino sui miei malanni fisici.
Ma se le due cose sono così strettamente correlate, cosa diavolo posso mai farci?
Posso comunque garantirvi che la maniera peggiore di iniziare l’estate, la stagione beachtennistica e – ahimè – il primo spiraglio di ferie, è di inchiodarsi con la schiena.
Tutto nasce da una serie di spostamenti di uffici in cui sono stato anch’io coinvolto, dalla baraonda di traslochi che tradizionalmente si svolge negli uffici pubblici a cadenze regolari. Ci si deve muovere, forse anche solo per sentirsi vivi.
Dopo aver impacchettatto tutte le mie cose per benino, ho atteso i facchini per tutta la mattinata e questi sono arrivati giusto dieci minuti prima di andarsene in pausa.
Vabbè, mi sono detto, magari comincio io.
Bellissima idea, inutile eroismo.  
Sono quelle cose che uno fa d’istinto, convinto di fare bene, e di cui ci si pente un attimo dopo.
Ma tant’è, è un periodo che se faccio una cosa la sbaglio, se dico una cosa avrei dovuto dire l’opposto. Decisamente il mio momento magico.
All’ennesimo paccone di cartaccia inutile che ho spostato, ho cominciato ad avvertire un dolorino in fondo alla schiena che pian pianino ha cominciato ad allargarsi, e man mano che il dolore si irradiava io mi piegavo sempre di più in avanti, e di lì a poco mi sono ritrovato piegato in due come la strega di Biancaneve, mi mancava solo la mela avvelenata.
Posizione critica e pericolosa, specie di questi tempi e specie dentro ad un ufficio pubblico.
Dopo aver passato il pomeriggio a spalmarmi creme che si sono rivelate efficaci quanto quella contenuta nei bomboloni, la mattina dopo una nottata d’inferno mi sono infilato come un origami nell’abitacolo della mia auto e ho cominciato un calvario medico che mi ha portato alfine al pronto soccorso, dove sono entrato camminando come Igor in Frankenstein Junior.  E dove mi aspettavano un paio di ortopedici.
“Cos’ha combinato, ha male alla schiena?”
“ No, si figuri, è che mi è caduta una lente a contatto…”
“Spiritoso, eh?”
“Eh…”
“Vediamo”, disse cominciando a tastarmi il più truce dei due, “la fa male QUI? E in QUESTO PUNTO? E magari anche QUI?”, mentre io mi contorcevo come una biscia sui carboni ardenti, augurandomi che Ippocrate lo maledicesse per l’eternità, mentre acquisivo la consapevolezza del limitato senso dell’umorismo dei medici.
Poco dopo il responso: colpo della strega, da fare un mix letale di iniezioni e quindici giorni di riposo. Ad una settimana dall’inizio delle ferie! 
E la richiesta di una risonanza magnetica ad una cosa che ignoravo di possedere: il rachide lombare.
“Sa, lei è alto, e le persone alte son predisposte, potrebbe esserle uscita un’ernia… Ma cos’è, ha male anche lì davanti?”
“No, mi sto semplicemente toccando i maroni.”
“Ah…”
“Eh…”
Sono uscito dall’ambulatorio e camminando a quattro zampe mi sono diretto verso casa, la prigione dorata dove avrei sperimentato cosa prova chi viene messo agli arresti domiciliari.
Erano secoli che non facevo delle punture, dai tempi in cui ero piccolino e una parente vicina di casa arrivava, faceva bollire ago e siringa in un bizzarro pentolino di alluminio e mi siringava dopo avermi strofinato lungamente con l’ovatta imbevuta di alcool denaturato (un toccasana dell’epoca: ricordo ancora la prima volta che mi sono fratturato un braccio giocando a pallone nel cortile davanti a casa, ero steso dolorante sul divano e mio nonno, rientrando in casa e vedendomi in quelle condizioni, mi disse in dialetto: “Dat d’l’alcool!”).
Comunque ho cominciato a farle la sera stessa, non senza un qualche timore maldestramente dissimulato e vergognandomi sotto sotto di mostrare le chiappe ad un’estranea sotto lo sguardo divertito di mia moglie.
Siringone con doppia fiala di Muscoril e Voltaren.
Dovevo farne sette, ne ho fatte otto per amor di simmetria perché particolarità di queste iniezioni è quella di gonfiarti i glutei con un imbarazzante effetto “push up”, tanto che avevo la precisa sensazione di avere un culo come una ballerina brasiliana (non fosse stato per il resto del fisico, avrei fatto un figurone in tanga).
E per di più ho preso il vizio di massaggiarmi in continuazione le chiappe, gonfie ed indolenzite, gesto che visto da fuori mi avrebbe fatto passare per un maniaco sessuale (mi veniva sempre in mente quella battuta credo di Woody Allen: “Meno male che non sono nato donna, passerei tutto il giorno a palparmi le tette!”).
La mattina dopo ero ancora piegato ad angolo retto, come se mi fossi mangiato una squadra. Con il pragmatismo tipico del tecnico, ho prontamente inghiottito un righello, e così mi sono rimesso dritto. Dopo un paio di giorni chiuso in casa, non sapevo più dove sbattere la testa, tormentato anche dalle rimostranze di mia moglie che continuava a ripetermi sei sempre il solito stramanone, e mi hai rovinato le ferie, e adesso col cavolo che andiamo al mare perché poi vuoi giocare a racchettoni e poi ti blocchi di nuovo e se rimani offeso non credere che io stia lì ad assisterti, meglio che ti venga un colpo secco e via.
Insomma uno strazio.
Le immagini seguenti documentano alcuni momenti del durissimo periodo di detenzione domestica cui sono stato costretto.

 il vostro eroe mentre legge le ultime notizie di gossip su un giornaletto di pettegolezzi…

 … mentre consulta una rivista specializzata sulle nuove rivoluzionarie scoperte della scienza e della tecnica…
  
 … mentre studia le tattiche da attuare sui campi da beach tennis…

 … e i modelli di comportamento da adottare nei confronti degli avversari durante il gioco.

 mentre si aggiorna per migliorare il blog che tanto vi appassiona…

 …e pianifica le attività vacanziere alternative, nel caso fosse impossibilitato a giocare a beach tennis…

 … prospettiva che, leggendo un idoneo testo,  tenta di esorcizzare in tutte le maniere.

 il vostro eroe, insofferente al forzato riposo, mentre tenta di organizzare un partitozzo di beach tennis con il primo giocatore disponibile…

 … e mentre spiega tutte le sue perplessità sulla terapia in atto, poco prima che entrassero gli infermieri con quella singolare camicia a maniche lunghe che si legano dietro.

 il vostro eroe mentre cerca sul dizionario il significato della parola rachide, che per la serie “parla come mangi”, pare voglia dire “colonna vertebrale”…

 … non rinunciando poi però ad una profonda meditazione sul significato del noto detto popolare “par i occh an fa mai l’alba”

P.S. - Ne approfitto per fare gli auguri a mia mamma. Neanche sa che scrivo queste cretinate, e se lo sapesse potrebbe soffrirne... Conoscendola, direi di no, quel poco di ironia che possiedo l'ho presa da lei. Oggi compie ** anni (non posso dirlo, mi ucciderebbe), e sono 53 anni che mi sopporta. 
Un'eroina dei nostri tempi.

 - 1. continua -

lunedì 4 ottobre 2010

indietro tutta! - prima parte

 Qualche giorno fa ho fatto una risonanza magnetica al ginocchio destro.
Che saltellare sulla sabbia racchetta in mano e inseguendo una pallina non fosse proprio un’attività salutare lo sospettavo da tempo, ma che mi potesse provocare dei danni, no. Anche se poi, sbirciando l’esito dell’esame con la micidiale capacità deduttiva del geometra, mi è sembrato che alla fin fine non ci fosse niente di particolarmente grave. Tranne forse, ma in via del tutto incidentale, il dolore che avverto quando lo piego e l'inquietante scrocchio articolare che sento quando lo allungo.
Comunque quella della risonanza è stata un’esperienza positiva. Anzi, direi che per 36 euro la consiglio a tutti.
Innanzitutto per via del tecnico che mi ha fatto l’esame. Una ragazza: la Dea della Radiologia.


 Una di quelle che quando entri in ambulatorio e ti guardano, non hai più bisogno del medico, perché guarisci istantaneamente. Meglio che andare in pellegrinaggio a Lourdes. 
Vedendola apparire nel candore del suo camice bianco sono rimasto piacevolmente stordito, e quando mi ha chiesto di allungarle le carte, nel porgergliele le dita mi si sono intrecciate, incespicando tra di loro per l'emozione.


 Poi mi ha domandato se non avessi qualcosa di magnetico addosso, ed io , già un po' rinfrancato, mi sono trattenuto a stento dal risponderle, con il piglio di Humprey Bogart: “Si, baby, l’irresistibile sguardo con cui faccio impazzire le donne, ma non posso farci niente, quello non me lo può togliere nessuno!”
Neanche il tempo di ridacchiare tra me e me per la battuta del cacchio che mi indica la porticina di un gabbione bianco in lamiera forata e vetro, sussurrando con voce vellutata: “Bene, adesso togliti i jeans e stenditi sul lettino.”
E lì ho avuto un tuffo al cuore. Ho rivissuto quelle situazioni da commedia sexy all’italiana degli anni ‘70: mi aspettavo solo che sbucasse da una porta un medico con la faccia di Renzo Montagnani accompagnato da  Alvaro Vitali  che scoreggiava, vestito da infermiere.
Poi però, tanto per riportarmi alla realtà, la Dea Magnetica mi ha infilato sulla gamba un semicilindro che mi  ricordava tanto la montagnola con la galleria sotto cui passava il trenino elettrico con cui giocavo da bambino, mentre io - osservando con sgomento i calzini che avevo tenuto infilati ai piedi - maturavo piano piano l'imbarazzante consapevolezza di quanto fossi ridicolo sdraiato in mutande su di un lettino metallico (situazione in un certo qual modo già vissuta di recente).

Ed è cominciato l’esame. Sembrava un videogame, ma di cui percepivo soltanto il sonoro.
Per una ventina di minuti ho distintamente avvertito, in rapide e ripetute successioni, il crepitio di raffiche di mitragliatrice, suoni gravi di campane tibetane, ritmi ipnotici di tamburi sciamani e ululati di sirene  di segnalazione di navi immerse nella nebbia ma prossime all'approdo.

Ma ciò di cui in quel momento non mi sono reso conto, e che poi si è rivelato profetico di quanto stava accadendo altrove in quegli stessi istanti, e che riguardava la sfera lavorativa mia e di tanti altri, era che la modulazione del  suono della sirena da nave che sentivo era esattamente quello che significava: “Indietro tutta!”

- 1. continua -