Visualizzazione post con etichetta mia moglie. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta mia moglie. Mostra tutti i post

giovedì 29 dicembre 2011

ogni promessa è debito

Ed eccomi qui, nell’amena Val Polenta (credo si chiami così, ma non sono proprio sicuro, questi posti si assomigliano un po’ tutti), sdraiato sul letto della mia cameretta d’albergo, con il computer appoggiato sulla pancia che emette lugubri borbottii causati probabilmente dalla cena con gli strozzapreti al fieno di malga d’altura, lo stesso di cui sono ghiotte le mucche che pascolano placidamente nei dintorni.
E che placidamente lo restituiscono alla terra nelle forme mostruose che tutti conosciamo e che anche qui costellano gli ameni pendii, in un virtuoso ciclo naturale in cui nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma, in peggio.
Consapevole del fatto di non essere dotato del particolare apparato digerente dei bovini, né degli enzimi adatti a trasformare la cellulosa del foraggio in zuccheri o roba più semplice, già la vedo male. E non oso pensare ai prossimi giorni.  
Ma da persona seria che onora le promesse tengo duro, e non appena riuscirò ad appropriarmi della chiavetta internet che mi è stata sequestrata dall’essere qui a fianco che sta taggando a tutta manetta la copertina pubblicata ieri, metterò sul blog il tanto tormentato calendario 2012 dei dannati del beach tennis.

Ecco, finalmente il momento è arrivato… e se sta maledetta connessione si decide a partire… magari entro la notte…

Alè, fatto! Anche stavolta è andata. Ecco finalmente qui il

calendario 2012

de “i dannati del beach tennis”.

Potete come al solito guardarlo, copiarlo, stamparlo o, molto più semplicemente, ignorarlo.

Ma comunque decidiate, buon anno a tutti.

domenica 31 luglio 2011

un eroe dei nostri tempi - 2: fuga da Spinatraz

Poi finalmente la malattia è finita, e con tutte le cautele del caso ci siamo trasferiti a Spina. Dove mi sono ripromesso di sfuggire ai racchettoni, legandomi al lettino come Ulisse con le sirene. Ma prima ho fatto un salto nel mio nuovo ufficio, dove ho verificato come i facchini avessero piazzato tutti i pacchi del trasloco secondo l’innovativa disposizione denominata, in termini strettamente tecnici, “a culo in su”.
Ci penserò al mio ritorno, mi sono detto tra me e me, pur sapendo che il pensiero mi avrebbe tormentato per l’intero periodo delle ferie.
E prima ancora ho fatto una visita medica, per verificare che il malanno fosse risolto.
“Come va?”, mi ha chiesto la dottoressa.
“Meglio”, ho risposto.
Fine della visita, abile e arruolato. Ma prima di lasciarmi andare, consultando i vecchi referti, mi ha chiesto se avevo fatto la risonanza magnetica al “rachide lombare” (facendomi velatamente intendere, con uno sguardo complice, di ignorare il significato del termine).
“No”, ho risposto, “la farò ad inizio luglio”.
“Ah, bene, perché sa, lei è alto, e alle persone alte è facile che esca un’ernia… Ma cos’è, ha male anche lì davanti?”
“No, non ho male, poi le spiego…”
“Ah…”
“Eh…”

E siamo partiti per Spina. Vacanze zoppe ma pur sempre vacanze, nei primi giorni delle quali ho sperimentato cosa volesse dire “soffrire il supplizio di Tantalo”. Otto campi da racchettoni a disposizione, bel tempo, giocatori di primordine disponibili, ma oltre al disagio fisico che ancora mi tormentava, incombeva sospesa come una spada di Damocle sulla mia testa la velata minaccia di cosa mi avrebbe fatto la mia signora nel caso in cui io, osando giocare a racchettoni ancora convalescente, avessi avuto un anche pur leggera ricaduta: non solo mi avrebbe spennato, ma mi avrebbe anche passato sulla fiamma come si fa con i polli prima di metterli in pentola.
Viste le premesse, sulle prime sono stato piuttosto cauto, e sono rimasto sdraiato sul lettino con lo sguardo fisso ai campi e la lingua a penzoloni sulla sabbia. Poi pian pianino nella mia mente si è sviluppato un piano diabolico, grazie anche ai ricordi di quei film americani di genere carcerario ambientati nei più biechi penitenziari, ed in particolare alle vicende raccontate da Don Siegel nel magistrale “Fuga da Alcatraz”.


fuga da Spinatraz! Durante il primo tentativo, mentre cerco
di sbucare da una delle piastre in cemento della passerella

Quatto quatto ho raccattato materiali vari in riva al mare (ceppi di legno, meduse, polistirolo, alghe e reti), qualcosina ho fregato ai bimbi degli ombrelloni vicini (secchielli, palette, palloncini), e circospetto mi sono messo al lavoro.
Dopo poche ore di lavoro avevo pronti un pupazzo con le mie sembianze (anche più bello, secondo alcuni maligni), che ho piazzato sul lettino un po’ coperto dal telo, e un tunnel sotto la sabbia che secondo le mie intenzioni puntava dritto al campo numero 8.

dai, il pupazzo è venuto benino, ma io sono un po' meglio!

Al primo tentativo sono sbucato ai margini di un campo del Bagno Las Vegas, sono stato prontamente estratto dal tunnel per le orecchie dall’addetto ai lettini, preso per il coppino e scaraventato armi e bagagli oltre il confine tra i due bagni come un gatto randagio.
Al secondo tentativo sono spuntato dentro il casotto dei lettini, riuscendo a spaventare a morte gli addetti alla spiaggia, solitamente imperturbabili e loquaci come statue dell’isola di Pasqua, al terzo sotto un tavolino del bar del bagno Spina dove quattro pensionati attorniati dai loro fans stavano disputando la consueta partita di trionfo acrobatico (1).
Ho dovuto riesaminare tutti i calcoli di traiettorie e i piani di scavo e al quarto tentativo, dopo un ampio giro sotterraneo, sono sbucato – racchetta tra i denti -, a fianco del lettino di mia moglie… Che guardando un po’ stupita quel talpone spuntato dalla sabbia che tanto mi assomigliava, ha controllato subito il fagotto che c’era sul mio lettino (che anche per lei era meglio dell’originale!), ha fatto due più due, mi ha acchiappato per le orecchie (evidentemente la mania dell’estate), ha recuperato un guinzaglio, una catena e una ciotola d’acqua e mi ha legato al fungo di sostegno dell’ombrellone.
Fine della fuga.
Però non è giusto… A Clint Eastwood era andata meglio!

(1) - Il trionfo acrobatico è una particolare variante del tradizionale gioco di carte, praticata ai tavolini del Bagno Spina. Ne riparleremo in modo più circostanziato.

martedì 17 maggio 2011

una domenica bestiale

Tok…… tok!
Tokkititok!
Thump thump!
Slam!
Tinkle tinkle!
Sdeng!
Clang!

Butto la mano sul comodino e cerco a tastoni il cellulare per controllare l’ora, mentre realizzo che sono al mare e che è domenica mattina.
Le 7 e 40.
“Gulp!”, dico io, a proseguo: “Ma chi è quel rompicoglioni che fa le pulizie a quest’ora del mattino?”
“Grofszl” risponde l’essere che da svariati anni mi dorme a fianco.

Cerco di riaddormentarmi, mentre ricordo che già verso mezzanotte in un beato dormiveglia sognavo di essere ad Ascot al Grand Prix di galoppo, sogno veicolato dall’arrivo dei condomini dei piani di sopra, probabilmente Fred Astaire, Ginger Rogers e il loro cavallo preferito, Ribot – ferrato tacco dodici per l’occasione -, che hanno ballato languidamente insieme il “Cheeck to cheek” (o qualcosa del genere)  fino all’una di notte.


i vicini di casa ballano, felici di essere al mare, 
nel loro salone sopra la mia camera da letto

Niente da fare, il tormento continua.   
Mi alzo, infilo le ciabatte, esco nel cortiletto e guardo in su, cercando di individuare i responsabili. E dal balcone mi saluta sorridendo la vicina del primo piano, spazzolone alla mano. E come va e come non va, e finalmente la bella stagione ecc. ecc. , finchè non le chiedo un po’ sostenuto se non per caso era lei che stava facendo le pulizie a quell’ora infausta.  Mi guarda sorpresa dicendo che no, giammai!, lei doveva ancora cominciare. 
E nel frattempo spunta dal balcone di sopra il busto della vicina del secondo piano, guanti di gomma, Mocio Vileda nella mano destra e piumino Swiffer nella sinistra. 
Espongo le mie civili rimostranze, saluto e rientro in casa, mentre le due erinni dell’igiene domestica mi osservano perplesse.

E del perché mi guardassero in quella maniera l’ho capito subito dopo, specchiandomi in  bagno: oltre al fatto di essere in ciabatte e dentro un vecchio pigiama sgualcito, ero pettinato come un cacatua.

In quelle condizioni la mia autorevolezza non doveva essere decisamente granchè.
Comunque i rumori sono subito cessati, ma ormai ero sveglio. Mi sono sistemato la capigliatura alla bellemeglio, leccando ripetutamente il complicato shangai tricologico con un pettine bagnato. E ho fatto colazione, scrutando un cielo che non prometteva nulla di buono.

Quando siamo usciti per andare in spiaggia, mentre chiudevo il cancelletto ho buttato lo sguardo verso l’alto e le ho riviste, affacciate ai rispettivi balconi  armate di tutto punto con cartuccere di spugnette e detergenti, pronte a far ululare i loro aspirapolvere.
Le ho fissate dritto  in faccia, e con tutta la solennità di cui sono stato capace ho detto loro: “Ok ragazze: al mio segnale, scatenate l’inferno!”
Mi hanno guardato, di nuovo perplesse…

Per forza, ero pettinato come un’upupa!

la mia tipica acconciatura mattutina... 
c'e' un motivo, e avremo modo di riparlarne a breve!

Partiamo in bici, e dopo cento metri comincia a piovigginare. Torniamo indietro e prendiamo l’auto per andare al bagno, mentre il mio cervello captava messaggi subliminali (inviati non ho capito bene da chi) che ripetevano: “Voglio andare a casa, voglio andare a casa…”. 
Ma al bagno mi aspettavano la sbadilatrice ritrovata, due suoi amici e figlioli vari, tutti ansiosi di prendere a racchettate il maltempo che ci minacciava. C’era veramente un tempo da lupi, e la mia signora fissandomi rivoltava le pupille all’indietro di centottanta gradi mentre nel bianco dei suoi occhi compariva la scritta “Voglio andare a casa…”. 

Ciononostante, in quello che ci era sembrato uno sprazzo di miglioramento, abbiamo deciso di azzardare una partitella, siamo usciti e abbiamo cominciato a toglierci le tute. Beh, almeno i campi erano liberi. 

Mia moglie da dentro il bagno mi lanciava sguardi di fuoco ed io, interpretandone il labiale attraverso le vetrate del bagno, ho appreso la sua particolare posizione nei confronti del delicato tema dell’eutanasia. Infatti continuava a ripetermi, pur muta come un pesce nell’acquario, la seguente frase: “Se ti ammali, ti ammazzo!” Fortunatamente un colpo di vento, uno scroscio d’acqua e due orsi bianchi con le infradito che fuggivano dalla spiaggia ci hanno convinti a rinunciare definitivamente. 

Ci siamo quindi rintanati nell’ospitale hall del Bagno Spina dove, lontani dalla frenesia dei racchettoni e chiacchierando di questo e di quello, ci siamo pian piano scoperti come persone, e anche di un certo spessore, mica degli scemi qualunque!

Per cui, giornata comunque positiva, alla facciaccia del maltempo.

Poi è arrivato il momento di andarcene, mentre arrivavano secchiate d’acqua da tutte le parti, peggio che ad un tappone alpino del Giro d’Italia. Quando ci siamo immessi in superstrada, l’asfalto era una lastra di acqua costellata di pozze che ti bloccavano a volte le ruote di destra, a volte quelle di sinistra: un incubo.
Allora ho pensato di telefonare alla Capitaneria di Porto (con tutta quell’acqua, la competenza non poteva essere che loro), con l’intenzione di chiedere se per caso, già che eran caldi, non potevano venire a sequestrare anche la superstrada, disastrata e pericolosa com’era… 

Voi non ci crederete, ma non mi hanno minimamente cagato.

venerdì 22 aprile 2011

e nel weekend successivo

E nel weekend successivo ancora meglio, perché si sono rifatti vivi in tanti. Il tesoriere, il consulente legale, la sbadilatrice dispersa, vari componenti del Comitato dei saggi del Team e tanti altri, addirittura un transfuga desaparecido del bagno Granchio. E si è rifatto vivo anche il caldo, e il Bagno Spina ha riaperto in grande stile, e un sacco di altre cose, alcune sorprendenti. Ma andiamo con ordine.

La piscina sequestrata.
E’ stata la prima cosa balzata agli occhi degli avventori: la meravigliosa piscina, vanto e fiore all’occhiello del bagno, recintata da una squallida bandella di plastica bianco-rossa e messa sotto sequestro. 
Dalla Capitaneria di Porto.
Abusiva. 
Perché non rimovibile al termine della stagione balneare. 
D’altronde è tutto logico e comprensibile: chi, alla fine della stagione balneare, non ripiega la vasca della piscina, non ne imballa il pratico sistema di depurazione delle acque, non rimette le pompe nei pratici astucci, non rimuove le scalette in acciaio inox, non smonta la struttura di sostegno, i pannelli di recinzione, il pavimento in legno, le docce, i quadri elettrici, l’illuminazione e non infila il tutto nel baule della macchina e se lo riporta nello sgabuzzino di casa? 
Ora io non so se certe cose possano succedere solo a Comacchio, se chi rilascia le autorizzazioni abbia cognizione della realtà o dica semplicemente fischi per fiaschi e chi le richiede capisca esattamente il contrario, o se ci sia una tale confusione normativa per cui si fanno le cose nella convinzione che tutto quello che non è esplicitamente vietato sia consentito, al contrario di quanto succede nelle altre parti del pianeta Terra... 
Mah!
D’altra parte noi, che da tempo frequentavamo il bagno nei fine settimana assolati, già sapevamo dell’accaduto. Perché il giorno in cui tutto è successo, noi c’eravamo. 
Precisamente un sabato in cui io, dopo aver scaricato al bagno la mia signora e l’amministratore delegato del Team, ero dovuto andare a casa dove avevo un appuntamento col muratore che avrebbe dovuto sistemarmi il pilastro della loggia sul cortile, lesionato dal rigonfiamento dei ferri di armatura. Il tempo aspettare l’arrivo dell’umile artigiano, con il secchio degli attrezzi appoggiato sul sedile anteriore di una fiammante Porsche Cayenne – tanto per ribadire quanto sia più importante investire nello studio che non nel lavoro manuale -, il tempo di mostrargli il problema, il tempo di sentirmi dire che sì, il pilastro era lesionato ma non c’era nessun pericolo, il tempo di fargli notare che d’accordo, non c’era pericolo immediato, ma il pilastro reggeva comunque un paio di balconi che quando avrei fatto colazione-pranzo-cena nelle calde giornate estive sarebbero stati sopra la MIA testa e non sopra la SUA, il tempo di vederlo partire sgommando mentre diceva che avrebbe ripristinato al più presto il tutto in stile doricoionicocorinzio (specialmente coionico) – compresa la trabeazione che reggeva il balcone di sopra - che, tornando al bagno, ho notato parcheggiata nel piazzale una Fiat Punto della Guardia Costiera, che mi è subito parsa incongrua quanto un sommergibile del Corpo degli Alpini. 
E sbirciando, ho notato alcuni personaggi in divisa bianca e con in testa delle feluche come quelle dell’ammiraglio Nelson a Trafalgar che parlottavano col gestore. 

i due funzionari della Capitaneria di Porto
 mentre procedono al sequestro della piscina

E che alla fine della discussione sono saliti sulla loro Punto, hanno scrutato l’orizzonte con un cannocchiale, e dopo aver  fatto uscir fuori dai finestrini abbassati due pagaie si sono diretti remando verso la stradina di uscita dal bagno, mentre uno urlava “Vira a babordo!” e gli altri due intonavano la nota canzone pirata “Quindici uomini sulla cassa del morto”.
Poi si sono persi nella rotonda, e credo siano ancora lì che girano.
Poco dopo è spuntata la moglie del miglior imprenditore balneare degli ultimi 150 anni che, ordinanza di sequestro alla mano, ci ha raccontato tutto.

Ora io credo che se ci fosse un po’ di buonsenso, a Spina qualcuno dovrebbe immediatamente sequestrare due cose: le strade e i marciapiedi. Perché disastrati, terrificanti, estremamente pericolosi e osceni biglietti da visita per una cittadina balneare che abbia interesse a mostrarsi con un minimo di decoro non solo ai turisti locali (che chissenefrega, hanno la casa, sono obbligati a venirci, se gli va bene è così altrimenti si attacchino), ma anche a quelli che vengono da fuori e che dovrebbero affezionarsi. Altrochè le piscine!
Fatto sta che adesso la piscina è ridotta ad uno stagno infestato da miriadi di zanzare i cui piani di volo vengono coordinati – per evitare il caos – dalla base NATO di Poggio Renatico che ha tentato di dirottarle verso la Libia, ma loro col cazzo che ci vanno, tengono duro e aspettano per azzannare i turisti che tra qualche settimana si faranno vivi.

il nuovo stagno del litorale, che verrà inserito tra zone umide 
di interesse naturalistico del Parco del Delta del Po

Forse qualcosa si smuoverà, perché per la prima volta ho sentito dare giudizi sconsolati e negativi sui nuovi amministratori, che non sanno mai cosa succede, quando succedono le cose non ci sono e se ci fossero dormirebbero. E per i quali comunque la colpa è sempre di quelli che c’erano prima.

Speriamo che qualcuno trovi una soluzione decente prima dell’estate, e che il massacro non continui. Perchè non oso pensare a cosa succederebbe se qualcuno si azzardasse a sequestrare i campi da beach tennis.

Fine dell’invettiva, il resto dopo Pasqua.
E, a proposito, auguri a tutti.
p.s. - Domani tutti al mare.
Noi ci saremo: lo intuisco dai ronzii provenienti dal bagno, dove mia moglie sta perfezionando gli ultimi ritocchi con il nuovo particolarissimo depilatore:


mercoledì 6 aprile 2011

estate in anticipo

Nessuno ci sperava, e nessuno se l’aspettava.
Ma l’estate è arrivata e ci ha colti di sorpresa, per cui venerdì sera - mentre io cercavo per casa la roba da spiaggia - mia moglie si è chiusa in bagno, e dai ronzii che sentivo ho capito che stava depilandosi. Ed è uscita dopo tre ore. 
Beh, è singolare dirlo, ma proprio non sospettavo di convivere da anni con un licantropo! 

 il particolarissimo epilatore utilizzato da mia moglie 

La mattina dopo, riesumati dal fondo dei cassetti io un vecchio paio di boxer da mare in lana cotta e mia moglie un bikini in pile (in questa stagione il clima è traditore, e la depilazione certo non aiuta), e raccattato un flacone di crema solare con la data di scadenza sbiadita dal tempo, siamo partiti per Spina.

Un rapido passaggio per la nostra casetta, oggetto di un recente intervento di sistemazione degli intonaci interni che l’ha ridotta come la Casa dei Gladiatori di Pompei - per cui l’ho aperta e subito richiusa come fanno i chirurghi con certi malati terminali -, il tempo di recuperare dall'armadio due teli da mare i cui lembi esposti a nord erano tappezzati da muschi e licheni, e ci siamo fiondati in spiaggia. 
Unico posto tra l’altro dove vengo risparmiato dai pollini che stanno cominciando ad infestare l’aria.

Sabato mattina siamo arrivati tra i primi, la spiaggia era spianata, e subito - paralizzando il lavoro delle maestranze con cui il gestore del bagno contava di aprire l’attività - ci siamo dedicati alle complesse operazioni di tracciamento ed installazione di quello che ritenevamo fosse il minimo necessario per giustificare la nostra presenza in spiaggia, vale a dire di almeno un paio di campi da beach tennis fatti per benino. Abbiamo allora recuperato reti, righe e attrezzi vari e ci siamo messi al lavoro di buona lena.

 Sulle prime abbiamo armato di cordella metrica l’amministratore delegato del Team, che in gioventù era stato un valente strumentista. Alla terza misura sbagliata (chiamava gli otto metri ogniqualvolta vedeva il numero 8 comparire sulla bandella di plastica), e dopo averci fatto disegnare sul terreno una complessa poligonale che ricordava la tormentata planimetria del Guggenheim Museum di Bilbao, ci siamo resi conto che non aveva alcuna dimestichezza con il sistema metrico decimale (che forse, all’epoca in cui lui lavorava, non era ancora stato codificato).
Per cui l’abbiamo riassegnato ad una diversa ma altrettanto prestigiosa mansione: addetto a conficcare dei picchetti che fissano le righe negli angoli del campo da gioco.
Ma anche in questo caso qualcosa è andato storto: avendo piantato i picchetti alla stessa profondità alla quale si piantano le begonie, questi saltavano via ogniqualvolta veniva sfiorata la riga. Per cui è intervenuto il ragazzo del bagno che, armato di badile, ha piantato i picchetti a una profondità tale che sembra che la punta di uno sia sbucata in Nuova Zelanda - precisamente nella baia di Auckland -, mentre l’amministratore delegato veniva investito di un nuovo, fondamentale compito: vice reggitore del badile (vice, perché si è ritenuto più pratico appoggiare il badile ai pali di sostegno delle reti, o addirittura per terra).

 veduta della città di Auckland. Sulla destra la punta 
del picchetto che gli astuti neozelandesi 
hanno subito trasformato in torre panoramica
  
In seguito, accertata anche la sua incapacità di reggere il badile (lo teneva per la pala anziché per il manico), lo abbiamo impiegato come unità di misura per determinare l’altezza delle reti, raccomandandogli di non saltellare. Una fatica terribile…

 l'Amministratore delegato del Team, ritratto nell'attività 
che gli riesce meglio: reggere se stesso appoggiandosi 
ad un palo ai margini di un campo da beach tennis
  
Dopo un lasso di tempo che ci è sembrato interminabile, i due campi erano pronti. E non abbiamo fatto in tempo ad occupare il primo che sull’altro si erano già spudoratamente precipitati quattro avventori dell’odiato Bagno Granchio, che avevano sorvegliato ghignando le nostre peripezie già con l’intenzione di approfittare come biechi parassiti delle nostre fatiche, mentre i gestori del loro bagno – invece di preparare la spiaggia -, stavano là a scriccare le teglie per l’inutile pizza della Franca.
Li abbiamo guardati malissimo per tutto il tempo in cui hanno giocato, e quando se ne sono andati la prima cosa che ci è venuta spontanea è stata quella di marcare il territorio, pisciando lungo il confine tra i due bagni. Cominciamo bene.

Anche perché, facendo i conti, i due campi erano proprio il minimo necessario rispetto alle presenze previste…
Perchè si è purtroppo verificata l’inspiegabile defezione della più autorevole candidata all’assegnazione del “Badile d’Oro 2010”, che pur avendo più volte preannunciato telefonicamente il suo arrivo – tanto che avevamo avuto l’impressione che fosse già lì, dietro l’angolo, ad infilarsi le ciabatte – misteriosamente non è mai arrivata. Costringendoci tra l’altro a giocare estenuanti partite ONLUS, pessimo viatico per l’inizio della stagione agonistica…

 assistita ONLUS mentre esegue il suo colpo favorito: 
il rovescio a mazzancolla rancinata

Dev’esserle successo sicuramente qualcosa di grave.

E queste sono le ipotesi che – aspettando Godot -, sono state formulate.

1) Stava percorrendo la superstrada ed era ormai in prossimità dell’uscita sulla Romea quando, premendo un misterioso pulsante sul cruscotto della sua automobile nuova, ha subito un’impressionante accelerazione e tra lampi e fiamme si è ritrovata al Lido di Spina, ma nell’anno 1971 (come nel film “Ritorno al futuro”).

2) Dopo aver inconsapevolmente assunto cibi contaminati dalla radioattività proveniente dal Giappone, ha cominciato a dematerializzarsi nel tragitto tra Ferrara e Spina. Al suo arrivo al bagno era ormai completamente sparita: lei c’era, ma noi non potevamo vederla… (e adesso gira bendata e con gli occhiali scuri come il protagonista del film “L’uomo invisibile”).


3) Mentre partiva per il mare, la sua automobile è stata risucchiata in un vortice spazio-temporale creatosi in prossimità di una rotatoria di via Ravenna. Ancora adesso continua a girare in tondo a bordo della sua nuova fiammante auto rossa, costituendo un’attrazione che ormai tutti i bambini del quartiere preferiscono alle giostre installate sul Montagnone per la festa di S. Giorgio, e per fare un giro sulla quale tormentano i genitori piangendo e strillando come aquile.

4) Rapita dagli alieni, che l’hanno teletrasportata sul disco volante con il solito raggio verde, incuriositi più che altro dal rudimentale ed inefficiente mezzo meccanico sul quale viaggiava, denominato Alfa Romeo Mito.

5) Aggredita e sequestrata in casa da un criceto mannaro, che per rilasciarla ha chiesto come riscatto una tonnellata di semi di girasole. E un tapis roulant al posto della ruota agganciata alle sbarre della gabbietta.

a tarda notte, devastati dalla snervante attesa...

giovedì 31 marzo 2011

sfasamenti - 2

112.
Per l’appunto, giusto per rompere i maroni.

Cosicché ci si deve tenere controllati, e nel frattempo guai a sgarrare.
Fortunatamente, almeno i valori relativi alla prostata sono a posto, così mi risparmio la misteriosa e tanto temuta visita urologica.
Io non l’ho ancora fatta, ma sono titubante, e ho sentito pareri controversi: c'è chi la discredita e c'è chi la magnifica, con un entusiasmo sospetto.
Ma sempre in maniera velata, allusiva, poco chiara e per certi versi inquietante.
Si narra di nonni che, estenuati da ore e ore di racconti per far addormentare i nipotini alla sera, alla fine ricorressero alla terribile minaccia: “E adesso o vi addormentate alla svelta, o vi racconto di quella volta che l’urologo mi ha fatto l’ispezione prostatica!”

nipotini terrorizzati dalle minacce del nonno: la figura dell'urologo li perseguiterà fino all'età adulta

E poi la singolare figura dell’urologo, medico specialista controverso dotato di un codice etico tutto suo, che secondo alcune voci malevole pare prediliga indagare la realtà da un altro punto di vista, applicando con proverbiale pragmatismo metodi empirici fin dalle origini ammantati dal mistero.
I pazienti che sono riusciti a superare la visita senza esserne distrutti moralmente, raccontano comunque che in quel preciso momento hanno percepito che la loro vita era ad una svolta.
Bah, non riesco proprio a capire: secondo me per me ci dev'essere qualcosa dietro

 la mano guantata dell'urologo che si appresta 
a visitare un normale paziente

 la mano guantata dell'urologo che si appresta 
a visitare un beachtennista

Fatto sta che mi ritrovo sfasato, sfasato e depresso.

Depresso per alcune sfide beachtennistiche andate buche negli ultimi fine settimana con la più autorevole candidata all’assegnazione del “Badile d’Oro 2010”, depresso per la sequenza di partite non indimenticabili inanellate nei mercoledì pomeriggio canonici con i dannati del CRAL.
E sfasato di quella frazione di secondo per cui, giocando, mi trovavo in ritardo su tutto: in ritardo sulla palla, in ritardo sullo scatto, in ritardo sul salto, in ritardo perfino ad insaponarmi sotto la doccia, tanto che l’acqua riusciva a togliermi il bagnoschiuma di dosso ancor prima che io me lo mettessi…
Per forza che poi mia moglie continua a lamentarsi del fatto che io rientro a casa sempre più tardi!
Di sicuro deve essermi successo quello che, a volte, succede anche in natura…

Avrete sentito che ogni tanto, per accidenti vari del pianeta - rallentamento della rotazione, variazione di moti gravitazionali, spostamento dell’asse terrestre causato da terremoti ecc. ecc. -, gli scienziati di tutto il mondo si accorgono che gli orologi atomici che scandiscono il tempo nei diversi continenti si trovano ad essere in ritardo - o in anticipo - rispetto all’armonia dell’universo.
Magari anche solo di un milionesimo di secondo, ma in quel momento – tac! – bisogna intervenire: occorre riallineare tutti gli orologi atomici esistenti, un colpetto e via, si risistema tutto.

Proprio la stessa cosa che dovrei fare io.

Anche se secondo me non la raccontano giusta, perché va bene che ci siano in circolazione fior di scienziati, ma che riescano a calcolare degli scarti così infinitesimali e che tutti si ritrovino d’accordo sul risultato finale mi pare una cosa veramente impossibile.
Secondo me adottano metodi più empirici, e questa convinzione nasce da una telefonata sospetta che ho ricevuto qualche tempo fa in ufficio…

Dovete sapere che un mio collega di lavoro (che chiamerò ***, per la privacy), da quando sono stati introdotti i marcatempo per la rilevazione delle presenze, riesce a timbrare infallibilmente l’entrata in ufficio alle 7:30 e l’uscita alle 13:30, con una precisione tanto sconcertante che si vocifera che, nel giorno in cui dovesse malauguratamente sgarrare, accadranno eventi terribili e catastrofici per l’umanità intera. Per cui molti colleghi si sono già premurati, in vista del 21 dicembre 2012, avvisandolo in modo molto esplicito: “Allora mi raccomando, ****: quel giorno lì o te lo prendi di ferie o vedi di essere preciso, eh!”

La telefonata mi è arrivata in ufficio, quasi al termine della giornata di lavoro.
Drin! Drin!
“Buongiorno, scusi, qui è l’Istituto Galileo Ferraris di Torino, sa per caso mica dirci se il signor *** è già uscito?”
“Sì, proprio in questo momento.”
“Ah, perfetto, grazie”.
Click.
E il giorno dopo ho letto sui giornali che erano stati sincronizzati tutti gli orologi atomici del mondo…

Potenza di ***!
Noi lo avevamo sempre sottovalutato, ma mentre lo guardavo allontanarsi sbiciclando nel cortile, ho capito che è lui che governa il mondo, ristabilisce l’armonia del cosmo e di noi tutti con esso.

lunedì 21 febbraio 2011

sfasamenti

25.
Speravo di prendere 26, ma è andata buca, il responso finale degli esami è 25.
Alcuni diranno che è comunque un’ampia sufficienza, ma come paventavo nell’ultimo post, ci sono quei maledetti valori che ballano sul limite, come acrobati su un cavo teso sopra ad un precipizio.
Borderline è un termine che rivela il suo particolare fascino solo se viene associato ad una personalità tormentata, che si muove al limite della società, delle convenzioni, delle relazioni, a cavallo tra il disagio e il disadattamento, sulla soglia tra l’ambiguità e l‘oscura capacità seduttiva delle personalità complesse.
Se invece è associato ai valori delle analisi cliniche, è una merda.
E i miei valori borderline sono svariati: il colesterolo è un po’ alto, la glicemia è un po’ alta, e in più ci sono alcune altre cosette caratterizzate da varie lettere dell’alfabeto greco che sono lì lì.
Aggiungiamoci pure che anche la pressione è altina, e il quadro (nefasto) è completo.
Altro che beach tennis e altre fantasie visionarie di vita spensierata, ormai sono pronto per la rottamazione, e per di più senza la minima ombra di incentivi all’orizzonte.


 La cosa singolare di questi valori bastardi è che non sono abbastanza bassi per poter far finta di niente e non sono abbastanza alti per giustificare una terapia.
Per cui devi cambiare tu: alimentazione, stile di vita, abitudini ecc. ecc., non puoi più fare questo e quello, tutto ciò che ti piace è proibito e tutto quello che ti fa schifo è consigliato.
Niente pastiglie, arrangiati e buona fortuna.

Il cardiologo che mi ha visto per la pressione ha sentenziato:
“Devi fare più movimento!”
e io: “Gioco a beach tennis un paio d’ore a settimana…”
“E’ deleterio, e per te non serve a niente!”
“Allora potrei andare a correre.”
“Correre fa malissimo alle articolazioni!”
“E quindi?”
“Quindi devi fare delle lunghe camminate, anche per 4 o 5 ore a settimana.”
E questo è stato il primo colpo.
Poi ha soggiunto: “Si, lunghe passeggiate, magari in compagnia di tua moglie, così ritrovate anche un tempo per voi stessi, per stare assieme, un momento per parlare, l’occasione per discutere e confrontarvi…”
E questa è stata la mazzata finale.
Sono uscito agitato, avevo tutti i sintomi della pressione alle stelle. Mi sono fermato da un gommista che me l’ha provata sommariamente ed ero come una Fiat Punto: 1,9 davanti e 2,2 dietro.
Peccato, a naso mi sembrava che sarebbe stato meglio il contrario.

Però il cardiologo non mi frega, se proprio devo fare del movimento andrò a correre, perché - posto che sia il correre che il camminare sono attività che mi fanno schifo -, almeno se corro ci impiego meno tempo.
Ma ci sono ulteriori problemi: correre d’inverno all’aperto è una prospettiva deprimente, farlo su di un tapis roulant dentro ad una palestra è un’altra cosa che mi fa stracagare, per cui devo trovare una soluzione. Penso proprio che monterò una ruota da criceti sulla parete della camera da letto, così ci trotterello dentro, magari riempiendomi prima le guance di semi di girasole come quegli stupidissimi animali.

Per la glicemia, il mio dottore ha ordinato perentorio:
“Niente dolci!” e mi ha consigliato di fare un ulteriore controllo mettendomi d’accordo con l’infermiera del centro medico per il prelievo, da fare il lunedì successivo. Naturalmente l’infermiera era la protagonista delle vignette dell’ultimo post, che quando mi ha visto mi ha minacciosamente preannunciato, con un sorrisino poco rassicurante - e sobillata anche dalla perfida segretaria del centro, nonché autorevole candidata all’assegnazione del Badile d’Oro 2010 – che mi avrebbe prelevato il sangue punzecchiandomi, anzichè la punta di un dito, quella del naso. Perché così – a suo dire - ci sarebbe stata una più precisa caratterizzazione del test. 
Bene, naturalmente avevo giusto appena ordinato una tenerina da portare ad una cena del sabato sera, e come al solito ne avevo leggermente sovrastimato le dimensioni rispetto alle ragionevoli necessità conviviali, tanto che il pasticcere, con simpatica ironia, aveva disegnato con lo zucchero a velo al centro della torta una enorme H, come quella che c’è nelle piattaforme degli eliporti… E più in piccolo, scritto lungo il bordo, aveva evidenziato il potere calorico del dolce, espresso però non in kilocalorie come al solito, ma in gigawatt, come per le centrali atomiche di ultima generazione.


Morale: a fine cena abbiamo diviso la parte rimasta, ognuno dei commensali se ne è portata a casa una quantità esagerata e io stesso, non potendone programmare il consumo in tempi ragionevolmente brevi, ho contattato alcune organizzazioni non governative che contano di sfamarci per diversi mesi alcune tribù dell’Africa centrale, ammesso che non si stanchino prima.

Ma nonostante la cena, nonostante la tenerina, nonostante il prelievo dalla punta del naso (per me quelle due non me l’hanno raccontata giusta, ma come diavolo potevo controbattere… io faccio il geometra!), e posto 110 come valore limite, secondo voi quale è stato il fottuto esito dell’esame?
La risposta tra qualche giorno, quando continuerò a tediarvi su questi sfasamenti, ma dandovi anche qualche buona notizia, come quella ad esempio sul dosaggio dell’indicatore della prostata.
Oltre naturalmente all’ulteriore irrinunciabile dato sull’analisi delle urine che, avvertendo una tensione palpabile tra le vostre menti e i vostri cuori, vi comunico immediatamente:
“aspetto: limpido”.

sabato 29 gennaio 2011

tempo di esami

Anche quest’anno, passato il Natale, ho dovuto programmare gli esami medici di routine.
Naturalmente spinto a viva forza da mia moglie.
Gli argomenti che tira fuori per obbligarmi a farli sono sempre gli stessi:
1) ormai c'hai un'età (e grazie, continua pure a rigirare il coltello nella piaga...)
2) non puoi continuare così  a fare quello che fai ( ad es. giocare a beach tennis per ore ed ore) senza controllarti
3) non puoi continuare a nascondere la testa dentro la sabbia come gli struzzi (sarà quello il motivo della mia passione per le spiagge?)
4) non sperare di star bene solo perchè non ti controlli (ma non è vero che non mi controllo: per esempio, dopo questa affermazione scatta subito l'autopalpazione dei testicoli!)
5) se poi, a causa della tua trascuratezza, ti dovesse venire un coccolone, augurati di lasciarci le penne subito, perchè in caso contrario col cavolo che io starò lì ad assisterti (eh, è sempre bello sapere di poter contare su qualcuno...)

Però è vero, io in genere tergiverso sempre, spesso mi faccio prescrivere gli esami e - ops! – riesco a far scadere i termini dell’impegnativa, guadagnando così alcuni mesi.
Ma non è che abbia paura dei prelievi, per carità, non è quello: sono gli esiti che mi terrorizzano. Perchè se anche mi sentissi benone ed in piena forma, sicuramente da quei maledetti numerini a lato del referto emergerà che questo valore è alto, questi altri sono al limite e quello bisogna capire perché si è spostato, facendomi precipitare, nel migliore dei casi, da uno stato di benessere ad uno di attenzione per cui quello che facevo non lo potrò più fare o peggio quello che odio fare lo dovrò fare obbligatoriamente, e nel peggiore dei casi in una girandola di accertamenti che mi risucchieranno in un vortice senza fine, cosa che per uno come me che ama stare parecchio alla larga da medici, medicine ed ospedali, si prospetta come un vero incubo.

 ...

E’ chiaro che le aziende produttrici dei recipienti per il campionamento delle urine hanno dovuto operare una scelta dolorosa: o agevolare i pazienti, o agevolare i laboratori. 
Ed hanno scelto questi ultimi.
Per questo  producono e commercializzano le provette.
In genere la notte prima degli esami, sul tardi, io appoggio la provetta sul coperchio del water per non rischiare di scordarmi. Poi il resto della nottata è un incubo. Sono digiuno dalla mezzanotte, mi addormento tardissimo e alle tre, quando avverto i primi stimoli, inizio un estenuante dormiveglia. Ogni quarto d’ora sbircio la sveglia e più sbircio la sveglia più cresce lo stimolo, e ogni quarto d’ora la vescica si gonfia sensibilmente, come una clessidra ad acqua.
Questo solitamente non mi capita mai, ma quella mattina lì, si. Ho la sensazione di non aver mai avuto uno stimolo così potente, mi rivolto nel letto, guardo la sveglia, stringo i denti e dico oddio non ce la farò mai…
Alle cinque ho l’impressione di riprendere il controllo, ma evidentemente sono i sudori freddi che contribuiscono a drenare i liquidi.
Alle cinque e mezzo la resa: mi precipito in bagno, apro la confezione della provetta, e freneticamente – perché non l’ho fatto prima?- leggo le istruzioni: c’è da compilare l’etichetta. E alle cinque e mezzo di mattina avverto tutta l’inadeguatezza di un miope assonnato che cerca una biro a tentoni, e che deve scrivere i propri dati su un’etichetta piccolissima, di carta lucida e incollata su di una superficie curva. Dieci minuti buoni, a gambe strette e sudando freddo.
E poi comincia il difficile.
Forse chi produce le provette non si è mai posto il problema di chi le deve riempire. Ora io non conosco il grado di precisione delle donne, ma per noi uomini, anche se apparentemente agevolati dal nostro particolare dispositivo di puntamento, il riempire la provetta è un dramma.
Provate a pensare se lo stesso principio fosse applicato ai distributori di carburante, e cioè se la pistola erogatrice non dovesse entrare nel bocchettone del serbatoio ma dovesse vagamente appoggiarsi su un'imboccatura tre volte più stretta...
Il metodo che adopero io è questo: erogazione goccia a goccia con contorcimenti e spasmodiche contrazioni addominali per evitare esondazioni. Tra l'altro è un esercizio che, a farlo con costanza, vi scolpisce degli addominali a tartaruga come quelli di un culturista. Funziona, ma è un supplizio, anche perchè bisogna fare attenzione a non riempirla troppo, la provetta, altrimenti  quando poi chiudi il tappo si dimostra sperimentalmente, ed in maniera nefasta, la legge sulla incomprimibilità dei liquidi.

E arriviamo alla cosa più simpatica, il trasporto e la consegna della provetta all'ambulatorio prelievi.

Quella mattina ti ritrovi nell'atrio dell'ambulatorio, in mezzo ad un gruppo di individui circospetti che si guardano attorno con l'aria da cospiratori, alcuni dei quali avviluppati nel mantello di Fantomas sotto il quale celano l'immondo malloppo che racchiude la provetta, pronti ad estrarla con gesto teatrale.
Occorre dire che in queste situazioni la fantasia umana si sbizzarrisce: dovunque venga riposta la provetta, dalla sportina di plastica della LIDL all'astuccio delle matite del figlioletto e  fino alla pochette di Louis Vuitton, essa viene sempre avvolta e sigillata nelle maniere più bizzarre.
Ho visto provette avvolte nel Domopak, nella carta igienica fermata con lo scotch, nello scottex fissato con gli elastici, nella carta da forno legata con lo spago per arrosti, nella carta stagnola, nella carta dei regali di Natale inguainata da un residuo di calze a rete, in un plaid, in un tappeto persiano, in bende di lino impregnate da essenze resinose, come quelle delle mummie egizie...
E il tutto ulteriormente racchiuso in un sacchetto da freezer sigillato con complicati nodi marinari.
Io signorilmente confido nella tenuta del tappo e quindi rimetto la provetta nella sua scatolina di cartone e la infilo verticale nel taschino della camicia. E' pericoloso, ma quando ci si deve assumere dei rischi, io non mi tiro mai indietro.
E tutto questo per avere sostanzialmente una sola informazione clinicamente utile:
"colore: giallo paglierino".
Se poi dovessero trovarci della sabbia, non dipenderebbe dai reni: è sicuramente quella che inalo settimanalmente sui campi dello Stop and Go.

Per illustrare l'altro momento topico, quello del prelievo di sangue in ambulatorio, mi limiterò semplicemente a mostrarvi alcune scene che riassumono situazioni a cui ho assistito nella mia pluriennale frequentazione degli ambulatori. Chi le avesse già viste, porti pazienza.









Ah, tra parentesi gli esiti sarebbero pronti stamattina.
Ma oggi è il mio compleanno, quindi col cavolo che li vado a ritirare.
Ci penserò lunedì.

lunedì 27 dicembre 2010

un po' in ritardo...

Ammetto, sono in ritardo.

Doveva andare sotto l'albero di Natale, ma pazienza.

Ho avuto da fare, poi dovevo farmi venire delle idee, poi me ne sono venute troppe, poi mi sono affezionato a tutte quelle che mi sono venute e non riuscivo più a scartarle, poi la memoria mi ha tradito e non riuscivo più a fare certe cose che avevo pur fatto dodici mesi fa, poi mia moglie (strano...) si è incavolata perchè stavo sempre con la testa tra le nuvole, poi il mio psicoterapeuta mi ha chiesto se per caso non avessi mangiato qualcosa di scaduto, perchè certe muffe dei cibi possono provocare preoccupanti allucinazioni, poi voleva sedarmi perchè va bene tutto, ma c'è un limite e secondo lui certe - come ha correttamente definito in termini strettamente clinici - "stronzate" denotano un qualche problemino che lui saprebbe bene come risolvere...

Ma alla fine, siamo quasi pronti.

Ed ecco qua, per tutti gli amici del blog, la ghiotta anteprima del calendario 2011 de "I dannati del beach tennis", quest'anno dedicato - come vedrete - all'arte, per lo più contemporanea (e cos'altro è il beach tennis, giocato ai nostri livelli, se non un'arte contemporanea...)


Giusto il tempo di fare una prova di stampa e di capire come pubblicarlo in maniera decente, per agevolare chi volesse scaricarlo, e via.

A domani sera.


lunedì 6 settembre 2010

piccoli inconvenienti di inizio ferie

Primi giorni di agosto.
Appena arrivato all’ombrellone, tutto era già stato deciso. L’infido amministratore delegato aveva già organizzato tutto, ed io ero l’indispensabile quarto del gruppo. Neanche il tempo di appoggiare il telo sul lettino, neanche il tempo di spalmarmi un po' di crema: sfilo la racchetta dallo zaino e mi avvio verso il campo. 
Non mi accorgevo che, nella mattinata torrida, nuvole oscure stavano addensandosi all’orizzonte.
Partita, rivincita, bella, scambio di coppia, nuova partita, rivincita, bella, passano veloci un paio d’ore, al termine delle quali ritorno verso l’ombrellone, percependo però qualcosa di anomalo.


Nonostante la  temperatura esterna fosse ben sopra i trenta gradi, sotto il mio ombrellone il termometro segnava -18.
Mi sono avvicinato garrulo al lettino di mia moglie, intuendo che qualcosa non andava sotto il sottile strato di brina. D'istinto mi sono chiesto perché i predatori di reperti archeologici avessero depositato la maschera funeraria di Tutankhamon - trafugata dal Museo Egizio del Cairo - sotto il mio ombrellone, ma immediatamente mi sono reso conto che quella che vedevo non era la maschera funeraria di Tutankhamon...


Era proprio mia moglie.
Aveva un muso tanto lungo che arrivava al Logonovo.
Con la voce della bambina indemoniata del film “L’esorcista”, mi comunica: ”Non ne posso più: io me ne vado a casa.”
Raccoglie tutta la sua roba e imperterrita si avvia a  passo di marcia sulla passerella.
La inseguo cercando di blandirla, mi aggrappo allo zaino ma vengo trascinato come il pellerossa dei western che, colpito da una pallottola, viene disarcionato dal cavallo ma rimane impigliato nelle briglie. Arrivato alla rastrelliera delle bici, la guardo partire spingendo sui pedali della Graziella come un ciclista gregario in fuga (cfr. "Boogie" di Paolo Conte, di cui consiglio di ascoltare tutto a tutti).
Non mi resta che tornare a raccogliere le mie povere cose, spiegare sommariamente la situazione agli astanti che fingevano  di non avere notato  l’increscioso episodio, e me ne torno a casa meditando su come cavarmela.
Tutto sommato poteva andare peggio; dopo due ore passate ad implorare perdono strisciando come un verme, ci siamo finalmente chiariti.
Il tempo di passare lo straccio sul rivolo di sangue che, attraversando il cortile, scolava nella caditoia stradale di fronte a casa, che eravamo già pronti per tornare in spiaggia.
Che poi non era neanche tanto, il sangue.
Solo che mi era uscito tutto dal naso.
Me l’aveva sempre detto il mio medico, che ho i capillari deboli.

...

Ne approfitto per due cose:
La prima: auguroni di buon compleanno alla mia signora, sperando che la vecchiaia la addolcisca un po'.
La seconda: la mia signora, grande lavoratrice, ha pubblicato su Facebook le tanto attese foto del D-day, il torneo del bagno Spina di Ferragosto. Chi non fosse in grado di visualizzarle, si faccia vivo nei commenti, o come diavolo preferisce: gli forniremo tutte le indicazioni necessarie.