giovedì 27 maggio 2010

il ritorno

Eccoci di nuovo qui.

Finito il mortorio di una primavera abortita, con la bella stagione si torna al mare e cominciano a succedere di nuovo delle cose di cui poter parlare. E difatti nell’ultimo weekend di cose ne sono successe.

Premetto che venerdì pomeriggio sono partito per il mare con un’idea ben precisa: “Domattina comincio a fare jogging.”
Penso che qualcuno dovrebbe inventare lo strumento con cui si misura la distanza tra i buoni propositi e i fatti concreti, che nella prima mattinata del sabato si sarebbe rivelata abissale. Ma appena sveglio, dopo i primi tentennamenti, dopo aver annusato il tempo, valutato la temperatura, le congiunzioni astrali ecc., con uno scatto di orgoglio ho cominciato a prepararmi.

 il vostro bell'atleta, griffato da capo a piedi
 
Le prime difficoltà sono cominciate con la cerimonia della vestizione, che per certi versi è affine a quella dei toreri prima della corrida (ricominciare a correre dopo un anno è pur sempre una sfida alla morte). Ora dovete sapere che la mia casa del mare è un bilocale: una camera da letto e un soggiorno con angolo di cottura. Di buonora esco quatto quatto dalla camera – dove mia moglie sonnecchiava, ma già bofonchiando di piantarla di disturbare – con quello che mi serve. E comincio a vestirmi.

Maglietta: ok. Calzoncini: sono rimasti in camera. Vai a prendere i calzoncini, incurante del ringhio sordo che esce da sotto le lenzuola. Calze: ok. Scarpe: sono rimaste in camera. Vai a prendere le scarpe, accompagnato dal ruggito di una tigre siberiana. Polsino: ok. Lettore mp3: ok, ma le pile sono scariche. Vai in camera a prendere le pile nuove nel cassetto del comodino. Nel letto non c’è più mia moglie, ma un varano di Komodo pronto a dilaniarmi.

 mia moglie: noterete l'espressione di leggero disappunto
 
Cronometro cinese da tre euro: ok, ma chi si ricorda come funziona? Le istruzioni sono sempre nel comodino in camera da letto: meglio evitare (tanto non sono in italiano) e procedere per tentativi. Fazzoletto in tasca, inforco gli occhiali, mi cablo con l’mp3 e finalmente sono pronto per partire. Chiudo casa, lego il mazzo chiavi al laccetto dei calzoncini, lo infilo praticamente nelle mutande per non perderlo e parto, tintinnando come una renna di Babbo Natale.

Il motivo per cui poi l’mp3 si spenga dopo poche decine di falcate è un mistero ancora irrisolto su cui continuano ad interrogarsi gli esperti di elettronica.  Diciamo comunque che la prima parte della corsa non è che uno sgambare disarticolato nel tentativo di sfilare il lettore dalla custodia appesa al bracciale, pistolare tra i tasti ON e OFF e cercare di  reinfilarlo nella custodia, constatando sconsolatamente che è ripartita la riproduzione di quei brani iniziali della compilation che ormai odio a morte. Ma pazienza.

Sul rettilineo del Travone passo davanti ad un pensionato che, con la baldanza di chi ha tempo da perdere, ha appena iniziato a potare una siepe di lauroceraso.

In prossimità della curva del ristorante Aroldo (km 0+960) realizzo con sgomento tre cose: 1) che è primavera; 2) che sono allergico a tutte le cose del mondo tranne la kriptonite (che notoriamente non esiste sul pianeta Terra); 3) che ho dimenticato di insufflarmi l’antistaminico nel naso e darmi le gocce di collirio negli occhi.

Immediatamente comincio a piangere e a starnutire.  Ormai però è troppo tardi per tornare indietro e continuo a correre, rantolando, piangendo come un vitello e soffiandomi il naso come un compressore.

Se queste cose le venisse a sapere il mio allergologo, di sicuro mi soffocherebbe lui, con un sacchetto di plastica.

Sul retrospiaggia del Lido degli Estensi (km 1+500) inizia la fase del rincoglionimento: sono in piena crisi respiratoria, il sole comincia a picchiare e le mattonelle del selciato mi ritmano il passo come in un mantra che stordisce, e da cui mi risveglia – infilandomisi tra le gambe - il solito cagnolino fetente legato ad uno di quei maledetti guinzagli estensibili a cui spero che prima o poi si impicchi il suo fottutissimo padrone.

Al passaggio davanti al bagno Perla ho la sensazione che sull’insegna qualcuno abbia sostituito – chissà poi perché – la lettera “e” con una “i”. Bah…

All’altezza del bagno Sayonara ho la visione di un gruppo di geishe che mi ciabattano a fianco con i loro zoccoletti, avvolte in stretti kimono e facendomi continuamente degli inchini.

Il bagno Medusa poi è una visione mitologica che gronda gelatina opalescente.

Al giro di boa (km 3+060) continuo a correre come un pugile stordito.

Davanti al bagno Dorian ho la visione di un mio ritratto che invecchia appeso in uno sgabuzzino, mentre io rimango eternamente giovane e scemo.

Su una delle rotonde del lungomare, una Mercedes lunga sei metri, guidata da Trudy (la moglie di Gambadilegno), dopo essere rimasta per venti minuti a cavallo dello STOP - penso per far attraversare una interminabile fila di operose formiche -, decide ovviamente di partire mentre passo io.

Dopo pochi metri rimango vittima della patologia detta “delle gambe di laccia”, a causa della quale le ginocchia, intese come articolazioni, spariscono e vengono sostituite da uno spezzone di corda che unisce la coscia e la gamba, che può roteare quindi liberamente nello spazio senza vincoli, rendendo la corsa bizzarramente spettacolare.

Sul ponte del Logonovo incrocio una ragazza in bicicletta; mi sembra di conoscerla, e mi sbraccio per salutarla. Ovviamente è una perfetta sconosciuta che mi guarda perplessa. Notando però che sul sellino posteriore c’è un bambino, fingo di aver salutato lui, abbozzando un sorriso. Dopo pochi secondi sento il bambino scoppiare in un pianto dirotto, e immediatamente ne capisco il motivo, vedendomi riflesso in una vetrina: quello che io, stravolto dalla fatica, pensavo fosse un sorriso altro non era che l’orrido ghigno di Mefistofele.

 la faccina buffa con cui ho cercato di blandire il pargolo  
 
Percepisco nebulosamente la figura del pensionato che, nel frattempo, ha potato circa tre rametti di siepe. Ne deduco che o io sono stato molto veloce o lui è stato molto lento, e opto per la seconda ipotesi.

il vostro atleta rientra alla base

Dell’ultimo tratto che costeggia il Travone non ho una memoria lucida; ricordo solo di essere arrivato davanti a casa (km 6+120), di aver ravanato in posti disdicevoli per recuperare le chiavi, e di aver notato l’arrivo nel residence di fronte di tre autoblindo tedeschi da cui sono sciamati bambini biondi tutti uguali, subito messi in riga da una frau Blucher che li ha condotti verso le spiagge al passo dell’oca. Mi sono subito chiuso nel box doccia e ho aperto l’acqua.

Alla fine, quando sono uscito, avevo le gambe talmente legnose che se me ne avessero amputata una si sarebbero potuti agevolmente contare tutti i cinquantadue anelli concentrici.

Erano le nove e mezzo, e avevo davanti la prospettiva della spiaggia e di ore ed ore di beach tennis…


Ma sarà mai vita questa?



p.s. Mia moglie, attenta frequentatrice di Facebook, mi segnala che oggi è il compleanno di uno dei desaparecidos, quello che assomiglia ad Aldo di Aldo, Giovanni e Giacomo. Anche lui corre la mattina presto per i viali di Spina e - a riprova di quanto lo jogging sia salutare per il fisico ma deleterio per la mente -,  millanta di essere (addirittura!) un "istruttore di beach tennis".  Auguri, e che  l'età gli porti saggezza.

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