martedì 14 settembre 2010

il racconto dell’infortunato - versione 1

Erano in quattro.
Brutti come il peccato e cattivi come il veleno. Verso le tre di notte stavano importunando una splendida ragazza in una zona buia dei viali esterni di Spina (vi chiederete: e tu cosa ci facevi alle due di notte in una zona buia dei viali esterni di Spina? E io vi risponderò: intanto erano le tre, e poi voi, farvi un po’ i cavoli vostri no, eh?) L’avevano circondata sghignazzando, forse erano ubriachi, e lei era terrorizzata. 


Mi sono avvicinato cercando di calmarli: “Ok ragazzi, adesso piantatela e andate a dormire!” Hanno cercato confusamente di mettermi a fuoco, con i loro occhietti ravvicinati sotto la fronte bassa, offuscati dai fumi dell’alcool. E non appena sono riusciti ad inquadrarmi, mi si sono avventati contro con veemente rabbia animale.
Sulle prime mi sono limitato solo a schivarli, poi mettendo in pratica le raffinate tecniche di lotta apprese studiando a fondo i film di Bud Spencer, con una sequenza di abili mosse ho fatto in modo che si mettessero fuori combattimento l'uno con l'altro.
Alla fine sono scappati verso casa (Porto Garibaldi o Vaccolino, forse), piagnucolando e inveendomi contro minacce irripetibili.
La ragazza, che si era accucciata sul marciapiede, mi si è subito avvinghiata addosso come un polipo, abbracciandomi, baciandomi e ripetendo tra i singhiozzi: “Grazie… grazie…”
Poi, all’improvviso, mi ha squadrato esclamando: “Ehi, ma, ma tu sei quello bravissimo a giocare a racchettoni!”
La ragazza era chiaramente sconvolta.
“Ti ho visto tante volte giocare al Prey.... Eri il mio preferito, ti guardavano tutte…”
Mai stato in quel bagno; chissà per chi mi aveva mai scambiato, il calo di tensione spesso gioca brutti scherzi.
Continuava a piangere, poi a ridere, e quando ho intravisto nei suoi occhi lo sguardo perduto della donna innamorata, ho cercato di staccarmi.
Sapete, è sempre stato un po’ il problema di noi sex symbol: le ragazze si appiccicano e poi non ti mollano più.
Le ho detto: “Ok bambina, tutto è finito, torna a casa e cerca di dimenticare…” Ma lei insisteva: “No, no... non puoi dirmi questo… Oh, ti prego, non mi lasciare!”
E mentre le sussurravo: “Su, dai… sei giovane, carina, e hai una vita stupenda davanti. Addio… e dimenticami!”, mi sono sciolto dal suo abbraccio, mi sono girato di scatto e mi sono spataccato l’occhio sinistro contro un palo della luce di viale Raffaello.

... 

Una piccola rettifica al post precedente.
Non siamo stati solo in tre a riuscire a cadere dalla bicicletta da fermi. Pare ce ne sia un quarto: eccolo.



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