mercoledì 15 settembre 2010

il racconto dell’infortunato - versione 2

Ero seduto sotto la loggia della casa di Spina e stavo pistolando con la racchetta nel maldestro tentativo di sostituire il grip,  quando all’improvviso sento che si apre il cancello e mi entrano nel cortile due, vestiti da gauchos, entrambi con una rosa tra i denti, avvinghiati in un tango - credo - di Carlos Gardel. 


Mi salutano in lunfardo e, dopo aver eseguito un perfetto ocho adelante, entrano in casa, afferrano mia moglie, se la caricano in spalla e fuggono a gambe levate in direzione del Lido degli Estensi.
Sulle prime non capisco, poi realizzo: oddio, i due argentini che ha conosciuto su Facebook!
Che Facebook portasse sfiga lo sospettavo da tempo, ma che si potesse arrivare a questo, no!
Mi sporgo dal cancello e, già in lontananza vedo i due loschi figuri e sopra di loro mia moglie che urla e si sbraccia come Olivia di Braccio di Ferro quando viene rapita da Bluto.
Immediatamente mi organizzo per inseguirli. Vado in camera, tiro fuori dal cassetto la maglietta da jogging, prendo un paio di calzoncini, controllo che i colori siano ben abbinati, calzini, scarpe, polsino, un’occhiata allo specchio e realizzo che forse mi sta meglio la maglietta gialla. Allora  meglio i calzini grigi che quelli neri e mi cambio anche i calzoncini. Poi cerco un polsino grigio, ma non c’è: vabbè, metterò una fascia.
Mi guardo allo specchio e sembro un albanese appena sbarcato da un gommone proveniente dal porto di Valona.
Rivedo tutti gli abbinamenti del vestiario, già che ci sono indosso anche cronometro e mp3, così ne approfitto per fare un po’ di allenamento, e parto rapidissimo all’inseguimento.
Alla curva di Aroldo realizzo che non ho chiuso la porta di casa. Torno indietro, chiudo, mi infilo le chiavi dove ormai ben sapete,  mi accingo a ripartire ma suona il telefonino.
Mia madre. Perdo dieci minuti a spiegarle che sto bene, mangio, c’è il sole, il mare fa cagare ecc.: la mamma è pur sempre la mamma. Finalmente riparto e ormai le urla di mia moglie le sento molto in lontananza, ma non dispero.
Dopo il ponte del Logonovo individuo le prime tracce: due scatolette di manzo scadute nel 1939. Sono sulla strada giusta. All’altezza della gelateria Italia vedo una delle rose che tenevano strette in bocca, e un centinaio di metri dopo inciampo in un bandoneon. Poi vedo un cd di Astor Piazzola. E un pezzo di asado, una bombilla per il mate e un premolare (ehi, la rapita si sta difendendo…). Si stanno dirigendo verso Porto Garibaldi.
Confortato, dopo aver dato un’occhiata dentro alla libreria Le Querce e alla vetrina di Alice Sport, riparto di gran carriera verso l’imbarco del traghetto, sul portocanale.
Le urla di mia moglie si fanno sempre più vicine, e intravedo un polverone in fondo al viale.
Finalmente li raggiungo all’imbarco del traghetto. Sono davanti a me, ma tra noi ci sono tre persone in fila. Mia moglie, imbavagliata con una bandana e legata alla bellemeglio con un lazo, mi lancia uno sguardo perentorio, come a dire:” Cosa aspetti, vieni qui, alla svelta!”. Allargo le braccia, come a dire che ho delle persone davanti, mica posso saltargli addosso, un po’ di pazienza ed educazione, perbacco! 
Intanto osservo i due sudamericani, agitatissimi, che salgono sul traghetto con in spalla il loro fagotto urlante, gridando al conduttore di salpare: due maschere di sangue, scorticati come gatti da strada, lividi, gonfi, storditi dalle urla, uno senza un baffo e l’altro spelacchiato, con ciuffi di capelli tinti sparsi dappertutto. Due rottami, ma ancora apparentemente determinati.
Quando arriva il mio turno, salgo sul traghetto, mi avvicino al bigliettaio e realizzo con sgomento che non ho neanche un soldo. Venti centesimi mi separano dalla mia amata moglie, ma purtroppo sono costretto a scendere. Lei mi fulmina con uno sguardo, e vedo uscirle un filo di fumo dalle orecchie mentre le faccio capire a gesti che mica posso traghettare senza pagare il biglietto; porti pazienza e troverò una soluzione.
E mentre sono lì che valuto se sia meglio tornare a casa, recuperare i venti centesimi e ripresentarmi al traghetto oppure andare a Porto Garibaldi facendo il giro sul ponte della Romea (passare a nuoto non se ne parla; se mi viene voglia di bere degli idrocarburi, piuttosto mi tracanno una tanica di kerosene), uno dei due desperados  si sporge dal bordo dell’imbarcazione, e dopo aver fatto  roteare sopra la testa delle bolas, me le scaglia contro.
Riesco a malapena a schivare le prime due palle, ma la terza mi colpisce all’occhio sinistro.
Cado di schianto sulla banchina, in un lago di sangue.

Quando mi riprendo, ormai è troppo tardi, e me ne torno sconsolato verso casa, pensando alla mia amata perduta che si ritroverà in una terra ostile e sterminata, magari in una hacienda in mezzo alla pampa.
Ma non dispero, non può finire così. Appena finirò le ferie e mi sarò ripreso, mi organizzo per bene, magari telefono a Genova per sapere quando salpa il primo piroscafo per Buenos Aires e setaccerò l’Argentina da cima a fondo, finché non l’avrò ritrovata.

Anche se, secondo me, me la rimanderanno indietro prima.

... 

Due cose.
La  prima è che confido nel sense of humor degli amici argentini: capiranno che scherzo, e sapranno perdonarmi.
La seconda è che oggi compie gli anni l'amministratore delegato del Team, nonchè mio storico socio di beach tennis. Auguri da parte mia e  - mi sento di poter dire - di tutti gli amici del Bagno Spina e dei bagni vicini.
E accendi pure tranquillamente le candeline sulla torta: i pompieri li ho già preallertati io. 

2 commenti:

  1. Eh, uno che vende roba buona... Tu poi che hai assistito all'incidente di persona, dovresti capire: da quando ho sbattuto il zuccone, non sono più lo stesso.

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