martedì 28 settembre 2010

tristi case di fine stagione

 Giorni frenetici.

Case di Montecarlo di cui non si conosce il proprietario, non si conosce l’affittuario, niente, nessuno…  Viene da pensare che, in confronto,  al Lido di Spina ci siano delle agenzie immobiliari decisamente più serie.

E poi cognati, ministri caraibici, servizi paralleli, bufale, dossier.
E Marcegaglia che attacca: “Ora il governo agisca!”
E la replica di Bossi: "È facile parlare!"
E Marcegaglia che rilancia: “Proprio tu, che ti esprimi solo a gesti”.
E il figlio di Bossi: “Facile parlare?!? Mica tanto, io per esempio…” (detto naturalmente tramite il suo portavoce).
  
Ecchediavolo!!!

 il linguaggio dei segni, utilizzato anche nel beach tennis

Ma su questa palude di letame, si erge chiara e cristallina la voce del nostro Premier, volta a fermare il gioco al massacro:  
"In questi giorni l’immagine che da di sé la politica è un vero disastro, è molto peggio del teatrino di sempre, del teatrino delle chiacchiere, degli insulti, delle falsità.  Fuori da questo teatrino, il nostro governo invece, il 'governo del fare', ha continuato a lavorare in silenzio su cose concrete, nell'interesse di tutti gli italiani".

 fatti, non pugnette!

Ma va!

Certo che uno così al di sopra delle parti, queste cose può ben permettersi di dirle.

Anche se più che il governo del fare sembra il governo di tutte quelle altre penitenze che si facevano nei giochi da bambini: del dire (generalmente baggianate, ma anche insinuazioni, denigrazioni, bordate di affermazioni pronte per essere fraintese e raffiche di stronzate pronte per essere smentite), del baciare (escort e compiacenti massaggiatrici dei vari beauty center nel migliore dei casi, amici degli amici e uomini d'onore nel peggiore), della lettera (attività di dossieraggio e furibonde campagne di stampa orchestrate contro gli antagonisti politici) e – inevitabilmente tra un po’, e purtroppo trascinando tutto il Paese – del testamento.


Ma ritornando alla faccenda di Montecarlo, io proprio non mi capacito. Ma secondo voi, al di là delle carte, dei notai, dei rogiti, e dato che le case di vacanza alla fine sono tutte molto simili, è così complicato stabilire se uno ne è o no il proprietario? O se lo è, magari a sua insaputa?

Per me è semplice: basta osservare i comportamenti.

Quella indubbiamente è la tua casa se:

- quando arrivi nel weekend cominci a riposarti ramazzando via montagne di aghi di pino;
- ad inizio stagione ti affanni a spazzolare via dal cortile, dalle persiane, dalle finestre, dalle inferriate ecc. quel maledetto polline giallo che ti irrita gli occhi e ti gonfia il naso come quello di un clown;
- ti preoccupi di pagare l'ICI, sputando veleno contro il Comune perchè poi quei soldi li sperpera da altre parti;
- al momento delle pulizie generali di inizio stagione, a malincuore sei costretto ad aspirapolverare quei ragni che si annidano negli angoli del soffitto, per fargli capire che il padrone sei tu, e non loro;
- ti rassegni a partecipare alle assemblee di condominio che si tengono di regola il giorno prima o il giorno dopo ferragosto, e sorbirti la canonica filippica su quanto alte siano le spese di tenuta del conto corrente;
- prima di lasciarla ti premuri di chiudere acqua, gas, spegnere lo scaldabagno e staccare il cavo dell’antenna  tv, salvo poi - tornato in città - macerarti nel dubbio di non aver chiuso a chiave la porta di ingresso;
- quando schiacci una zanzara sul muro schizzi subito in bagno, afferri una spugnetta e ti precipiti freneticamente a strofinare la macchia di sangue nel patetico tentativo di cancellarla;
- appena intuisci l'ombra di una macchietta di umidità sull'intonaco, ti precipiti al primo Bricocenter e spendi centinaia di euro in prodotti che si riveleranno puntualmente inefficaci;
- ti adombri constatando che dopo esserti disarticolato la spalla per potare la siepe a perfetto livello, il giorno dopo i tuoi due vicini di lato tagliano la loro uno mezzo metro più alta, l’altro mezzo metro più bassa;
- ogniqualvolta ti trovi a passare nel raggio di trenta chilometri dalla casa, ti allunghi a spalancare porte e finestre per far respirare i muri;
- passi ore ad osservare le abitudini delle formiche che ti divorano gli scuri in legno, per poterne programmare al meglio il piano di sterminio.

Ma forse mi illudo, Fini è un politico e i politici queste cose non le fanno, trovano sempre qualcun’altro che le fa per loro: genitori, amici, domestici, sodali compiacenti.

 Loro se la godono e basta; perbacco, hanno ben altro a cui pensare!

... 

Dimenticavo.

La casa è indubbiamente tua anche se, come abbiamo fatto noi domenica scorsa – doloroso epilogo di fine stagione – parti dalla città con la penosa prospettiva di passare la giornata a sbaraccare tutto, vuotare la dispensa, sbrinare il frigo, disfare il letto, vuotare l'armadio, fare enormi fagottoni di biancheria, asciugamani, accappatoi, lenzuola, tende, strofinacci ecc. ecc. ecc.

Salvo poi farti sorprendere da una stupenda, calda e soleggiata domenica di fine estate, per cui costume e maglietta e via, in spiaggia per le ultime racchettate con gli amici (e gli ultimi furibondi scontri per aggiudicarsi il "Badile d'Oro 2010"). 

Perchè, se la casa è importante, ancora più importante è tutto quello che ci ruota attorno.
E al diavolo tutto il resto.

venerdì 24 settembre 2010

il racconto dell’infortunato - versione 3


Sono stato rapito dagli alieni.

A notte tarda, mentre stavo cercando di aprire il lucchetto della bicicletta, all’improvviso ho visto un raggio verde infiltrarsi sotto la calotta dei pini ed espandersi nella mia direzione. In un battibaleno sono stato risucchiato verso l’alto, ho perso i sensi e al mio risveglio ero nudo, immobile, disteso su un piano metallico e diretto, avrei saputo dopo, verso un pianeta di un sistema solare sperduto tra Cassiopea e Andromeda.

Gli alieni mi hanno trattato bene. Hanno voluto sapere tutto di me e della vita sulla Terra, e quando ho cominciato a parlar loro del beach tennis si sono subito entusiasmati. Ho dovuto insegnargli in fretta e furia i primi rudimenti del gioco. Purtroppo però il loro pianeta non presentava le caratteristiche ottimali per la pratica del beach tennis: a parte le spiagge di sabbia viola e il mare di metano liquido, la particolare forza gravitazionale presente faceva pesare una pallina mid l’equivalente di circa 14 tonnellate, rendendo quantomeno problematici gli scambi.

Mi hanno allora prontamente trasportato su un altro pianeta, e lì le condizioni erano perfette: profonde spiagge di sabbia infuocata, mare puzzolente, prezzi spropositati. Proprio come a Spina. Anzi, ancora meglio perchè,  a causa di una curiosa deviazione spazio-temporale dovuta probabilmente all’inversione magnetica dei poli, riuscivo clamorosamente ad anticipare la pallina negli smash, maneggiando la racchetta come Jimi Hendrix riusciva a maneggiare la sua fida Stratocaster.

Hanno subito preteso che cominciassi ad organizzare dei tornei, cosa in cui mi sono buttato a capofitto nonostante qualche problema nella realizzazione delle magliette, che sono risultate un delirio di colli e maniche per via del fatto  che i miei rapitori erano polipoidi dotati di otto tentacoli. Cosa che però li rendeva abilissimi nel gioco: dovevate vedere come giocavano di dritto passandosi rapidamente la racchetta da un tentacolo all’altro!

gli alieni in azione.  Dato che utilizzano  i tentacoli sia come braccia
che come gambe, è stato ideato un innovativo capo multiuso:
 la pantamaglietta (pantaloncino se la infili da sotto, maglietta se la infili da sopra)

Dopo un periodo di tempo lunghissimo (presumo svariati anni, e senza che apparentemente invecchiassi di un giorno) e innumerevoli stagioni di tornei di beach tennis organizzati per tutta la galassia, i miei amici alieni mi hanno visto un po’ triste, e mi hanno chiesto se per caso non provassi un po’ di nostalgia. Gli risposi che si, effettivamente avevo voglia di rivedere casa...
“Ma ti manca tua moglie?”
“No, non è che mi manchi mia moglie, è che mi piacerebbe proprio rivedere la Terra…”
“Beh, se lei non ti manca allora puoi restare qui….” insistettero loro.
“Ok ragazzi, allora si, va bene, sento veramente tanto la mancanza di mia moglie, e del lavoro, e dei tornei under 12,14 e16!” – mentii, con una spudoratezza di cui ancora oggi mi sorprendo.

Insomma, mi caricarono sulla loro astronave e in un batter d’occhio eravamo sulla verticale di Spina.
Dopo tanto tempo ero di nuovo a casa. I miei amici polipoidi erano commossi, e non appena siamo atterrati si sono affacciati agli oblò, sventolando i fazzoletti con i loro tentacoli.
Ed è stato in quel momento che, scendendo la scaletta , mi sono girato di scatto per un ultimo saluto, sono incespicato nel gradino, ho mancato la ringhiera e ho sbattuto l’occhio sinistro contro il portellone del disco volante.

...

Sulla Terra erano passati appena tre millisecondi e nessuno si era accorto di niente, tranne del fatto che ero stramazzato al suolo e sanguinavo dall’occhio come un vitello scannato.

Comunque gli alieni non ci hanno abbandonato, sono ancora qui tra noi. Ci osservano. Uno di loro è Paul, il polpo che imbroccava i risultati delle partite di calcio degli ultimi Mondiali in Sudafrica.


Un altro l’ho individuato io, la scorsa settimana al ristorante “Il Martin Pescatore”: sdraiato su un piatto di antipasti di mare freddi, nascosto tra uno scampo e una mazzancolla, mi ha salutato strizzando l’occhiolino.

...


Tra un po' pubblicheremo il resoconto del Torneo dell'Amicizia 2010 del Bagno Spina: il "D-day", il giorno dei dannati.
Ed è stato proprio in quel funesto giorno che si è verificato il vero infortunio dell'estate...
  

mercoledì 22 settembre 2010

mutatis mutandis

Pensavo di pubblicare qualcos'altro, ma l'attualità ci incalza e non può essere elusa. Quindi si cambia in corsa.

Notizia di oggi.

Il noto ex arbitro ecuadoriano Byron Moreno, protagonista dell'eliminazione dell'Italia dai Mondiali di Corea del 2002, è stato arrestato all'aeroporto John F. Kennedy di New York perchè sorpreso con  sei chili di eroina nascosti nelle mutande.
Se cercava di far colpo sulle hostess al check-in, forse ha un tantino esagerato. Cosa aveva addosso, il pannolone di Tafazzi? E cosa diavolo sperava di millantare?
Visto poi che le hostess era già da diverso tempo che se la ridacchiavano tra di loro, mettendosi le mani davanti agli occhi con le dita allargate per potergli sbirciare meglio in mezzo alle gambe,  e continuando a bisbigliare: "Oh, my God!", forse il buon Moreno avrebbe dovuto assumere un comportamento un po' più circospetto.

Pensate che quest'estate una cosa del genere è successa anche a me.
Giocando a beach tennis io non mi tuffo mai, ma un pomeriggio, impegnato in un doppio misto, sono inciampato goffamente, ho perso l'equilibrio, mi sono schiantato sulla spiaggia e mi sono rialzato con sei chili di sabbia dentro ai boxer.
Beh, non ci crederete, ma le ragazze non si sono accorte di niente.
Probabile che i sei chili si fossero distribuiti male.

  
Ma anche in questi giorni le mie mutande sono teatro di avvenimenti simili.
Per faccende di ufficio e di lavoro che, per evitarvi la noia, non starò qui a precisare, dentro ai miei slip si sta attualmente svolgendo una popolare manifestazione: il "Ferrara Ballons Festival".
O almeno una piccola parte di essa: la magia di un paio di mongolfiere che si gonfiano senza librarsi nell'aria.

sabato 18 settembre 2010

giocatori da badile


Siamo ormai alla stretta finale.

La selezione è stata durissima, ma la cerchia dei candidati all’assegnazione del “Badile d’Oro 2010”, ambìto trofeo che premierà il giocatore di beach tennis del Bagno Spina e immediati dintorni più falloso dell’anno, è ormai ben delineata.


Con la fine dell’estate, poche sono ancora per i contendenti le occasioni per cercare di affermarsi nell’agguerrito gruppo dei finalisti, e la lotta negli ultimi weekend si preannuncia furibonda.

Mentre vi mostriamo i concorrenti in lizza, ricordiamo qui di seguito le particolari specialità poste alla base delle valutazioni che hanno consentito di selezionarli. 

un candidato escluso perchè difficilmente valutabile: 
in questa stagione fortunatamente ha giocato troppo poco 

la badilata
Qualsiasi colpo portato alla pallina che, per la sua peculiarità, abbia ricevuto l’approvazione dai vertici della Coldiretti. E’ un colpo portato con rara potenza e pervicace determinazione, ma sbagliato per tempo, forza, direzione ed intensità. E’ per antonomasia  il colpo sbagliato a 360 gradi: il colpo sbagliato perfetto.

Approfondimento tecnico. Come può il giocatore di beach tennis avere la certezza di aver tirato una badilata? Semplice: se c’è un cane nei dintorni, per solidarietà abbaia.

la sbadilata
Come la badilata, ma – se possibile - di più.

Approfondimento tecnico. Come può il giocatore di beach tennis avere la certezza di aver tirato una sbadilata? Semplice: se c’è un cane nei dintorni, per solidarietà ulula. 

  
il primo candidato: già dall'espressione capirete che 
non ha cognizione di cosa gli stia succedendo attorno
  
Talvolta succede che ad una badilata l'avversario risponda con una ribattuta incongrua, a cui poi segue una sbadilata e via così, e spesso lo scambio continua per diverso tempo nonostante i compagni di gioco si sgolino, invochino gli dei del beach tennis e si strappino i capelli nel tentativo di fermare l'orribile sequenza.

Approfondimento tecnico. Come può il beachtennista essere sicuro di aver eseguito  una corretta sequenza di badilate e sbadilate? Semplice: se c’è un cane nei dintorni, non solo si avvicina al giocatore uggiolando felice, ma gli chiede il pedigree, il numero di microchip che gli hanno inserito (a sua insaputa) sottocute, e se anche lui ha già fatto il vaccino contro il cimurro.
  
il servizio tendente all’infinito
Qualsiasi servizio in cui la traiettoria della pallina, parallela al terreno, lo incontra solo all’infinito, rispettando quanto affermato da Euclide nel V postulato. In realtà nessun servizio sbadilato è mai riuscito a tanto; sono però stati segnalati servizi che hanno scavato crateri al lido di Volano da una parte, e a Marina di Ravenna dall’altra.

il secondo candidato mentre carica il servizio,
con la potenza e l'agilità di un mietitrebbia

la spizzata laterale
In questo colpo la palla, colpita con l’estremo bordo della racchetta, schizza lateralmente abbattendo il compagno di gioco, o l’eventuale ignaro spettatore, o un giocatore del campo accanto, o un ambulante senegalese di passaggio, ecc. ecc.)

la smorzata fiappa
Detto così non è bello, ma trattasi di un tentativo di palla corta che rimane desolatamente al di qua della rete.

il servizio ad obice
E' un servizio spizzato in alto, la cui vertiginosa parabola semina terrore tra gabbiani e deltaplanisti.

il servizio sul nastro 
E' il servizio in cui la pallina, dopo aver  incenerito l'orecchio del vostro compagno impattandone il lembo auricolare ai duecento all'ora, colpisce il net e rimbalza miseramente nel proprio campo.

la terza candidata: noterete l'estrema concentrazione,
 che si rivelerà del tutto inutile ai fini del gioco

 il lungolinea largo
Colpo che richiede doti naturali che derivano dalla particolare conformazione delle articolazioni di radio e ulna rispettivamente sul gomito e sul polso, e che determinano il cronico disallineamento di tale colpo di  5-10 gradi sessagesimali verso l’esterno rispetto alla traiettoria voluta.

la “macarena”
Colpo già citato in un vecchio post: andatevelo a vedere cliccando qui.

il pallonetto fuori luogo
Colpo improvvido che nasce dall’incapacità del giocatore di valutare correttamente l'azione del vento. Provoca pallonetti corti i cui conseguenti smash perforano di norma il compagno incolpevole, o pallonetti lunghi che,  trasportati dagli alisei, depositano la palla in luoghi esotici di struggente bellezza ma di norma situati all’esterno del campo di gioco.

 
 il quarto candidato: talmente avvezzo all'uso 
del badile che qui pare essersi scavato la fossa da solo

la chiamata incongrua
Particolare capacità del giocatore di chiamare al compagno, affannosamente impegnato ad inseguire una palla diretta sui bordi del campo, “Out!!!” la palla dentro e “Buona!!!” la palla fuori.

lo "smash trash"
Lo dice il termine stesso: qualunque tentativo di schiacciata mal riuscito, degno solo di essere buttato nell’immondizia.

l’ingroppata autolesionista fratricida
Nel generoso tentativo di colpire una palla destinata palesemente nella parte di campo di competenza del compagno, l'ingroppatore travolge quest'ultimo e lo pesta come un hamburger, sbagliando poi ovviamente la ribattuta.

il “Non pensavo di sbagliarla!”
Detto anche il “Ma dai che c’ero!”.  Qualsiasi colpo in cui la racchetta, pur sventagliata con balda sicurezza, non impatta la pallina, dando l’impressione che essa la attraversi misteriosamente, quasi dematerializzandosi.

il quinto candidato: leggendari 
suoi inutili tuffi nella sabbia

il salto del ranone
Goffo tentativo di colpire la palla saltando ma sbagliando il tempo, il modo, il luogo e pare anche la declinazione.

la bella statuina
Capacità di un giocatore di restare immobile su una palla indiscutibilmente diretta verso di lui. D'altra parte, come diceva Altan in una vecchia vignetta che voleva colpire l'inerzia di certi partiti di sinistra nell’organizzare un’alternativa, perchè stare fermi quando si può rimanere immobili?

la ribattuta generosa
Capacità del giocatore di ribattere una palla nonostante i ripetuti avvertimenti del compagno che si sfiata nel tentativo di fargli comprendere quanto essa sia destinata a cadere non solo al fuori del campo di gioco, ma anche dai confini amministrativi del Comune di Comacchio.

la sesta candidata: dietro l'apparente tranquillità 
nasconde l'indole della sterminatrice

la mazzolata involontaria
Capacità del giocatore di percuotere con la racchetta il compagno a fianco, nel tentativo di intervenire su una palla equidistante tra i due. Mentre il mazzolando - prudentemente - cerca di ritrarsi, l’infame picchia a vanvera  selvaggiamente, provocando al compagno lesioni paragonabili a quelle dei pestaggi sistematici di certe dittature sudamericane. Dopo la mazzolata, mentre il compagno agonizza al suolo, il mazzolatore ha spesso il coraggio di chiedere, con ostentata disinvoltura: “Non ti avrò mica fatto male, vero?”

... 


 
 quando due candidati al “Badile d’Oro” giocano in coppia,
possono costituire un reale pericolo alla pubblica incolumità


 
qui,  probabilmente con una spizzata laterale, hanno
appena  polverizzato la ragazza con il bikini lilla,
 a bordo campo nella foto precedente 
 (e che ad un più attento esame, è risultata essere la candidata n. 6!)

Ragazzi miei, è ben più difficile aggiudicarsi il “Badile d’Oro” che non il Master Turquoise!

... 

E visto che oggi piove (governo ladro), invece di crogiolarvi nell'ozio grattandovi, potreste indicare altri candidati, dare le vostre preferenze, individuare e proporre altre specialità in cui secondo voi dovrebbero eccellere i giocatori fallosi; insomma datevi da fare e, se volete, fatevi poi vivi nei commenti o dove diavolo vi pare.


mercoledì 15 settembre 2010

il racconto dell’infortunato - versione 2

Ero seduto sotto la loggia della casa di Spina e stavo pistolando con la racchetta nel maldestro tentativo di sostituire il grip,  quando all’improvviso sento che si apre il cancello e mi entrano nel cortile due, vestiti da gauchos, entrambi con una rosa tra i denti, avvinghiati in un tango - credo - di Carlos Gardel. 


Mi salutano in lunfardo e, dopo aver eseguito un perfetto ocho adelante, entrano in casa, afferrano mia moglie, se la caricano in spalla e fuggono a gambe levate in direzione del Lido degli Estensi.
Sulle prime non capisco, poi realizzo: oddio, i due argentini che ha conosciuto su Facebook!
Che Facebook portasse sfiga lo sospettavo da tempo, ma che si potesse arrivare a questo, no!
Mi sporgo dal cancello e, già in lontananza vedo i due loschi figuri e sopra di loro mia moglie che urla e si sbraccia come Olivia di Braccio di Ferro quando viene rapita da Bluto.
Immediatamente mi organizzo per inseguirli. Vado in camera, tiro fuori dal cassetto la maglietta da jogging, prendo un paio di calzoncini, controllo che i colori siano ben abbinati, calzini, scarpe, polsino, un’occhiata allo specchio e realizzo che forse mi sta meglio la maglietta gialla. Allora  meglio i calzini grigi che quelli neri e mi cambio anche i calzoncini. Poi cerco un polsino grigio, ma non c’è: vabbè, metterò una fascia.
Mi guardo allo specchio e sembro un albanese appena sbarcato da un gommone proveniente dal porto di Valona.
Rivedo tutti gli abbinamenti del vestiario, già che ci sono indosso anche cronometro e mp3, così ne approfitto per fare un po’ di allenamento, e parto rapidissimo all’inseguimento.
Alla curva di Aroldo realizzo che non ho chiuso la porta di casa. Torno indietro, chiudo, mi infilo le chiavi dove ormai ben sapete,  mi accingo a ripartire ma suona il telefonino.
Mia madre. Perdo dieci minuti a spiegarle che sto bene, mangio, c’è il sole, il mare fa cagare ecc.: la mamma è pur sempre la mamma. Finalmente riparto e ormai le urla di mia moglie le sento molto in lontananza, ma non dispero.
Dopo il ponte del Logonovo individuo le prime tracce: due scatolette di manzo scadute nel 1939. Sono sulla strada giusta. All’altezza della gelateria Italia vedo una delle rose che tenevano strette in bocca, e un centinaio di metri dopo inciampo in un bandoneon. Poi vedo un cd di Astor Piazzola. E un pezzo di asado, una bombilla per il mate e un premolare (ehi, la rapita si sta difendendo…). Si stanno dirigendo verso Porto Garibaldi.
Confortato, dopo aver dato un’occhiata dentro alla libreria Le Querce e alla vetrina di Alice Sport, riparto di gran carriera verso l’imbarco del traghetto, sul portocanale.
Le urla di mia moglie si fanno sempre più vicine, e intravedo un polverone in fondo al viale.
Finalmente li raggiungo all’imbarco del traghetto. Sono davanti a me, ma tra noi ci sono tre persone in fila. Mia moglie, imbavagliata con una bandana e legata alla bellemeglio con un lazo, mi lancia uno sguardo perentorio, come a dire:” Cosa aspetti, vieni qui, alla svelta!”. Allargo le braccia, come a dire che ho delle persone davanti, mica posso saltargli addosso, un po’ di pazienza ed educazione, perbacco! 
Intanto osservo i due sudamericani, agitatissimi, che salgono sul traghetto con in spalla il loro fagotto urlante, gridando al conduttore di salpare: due maschere di sangue, scorticati come gatti da strada, lividi, gonfi, storditi dalle urla, uno senza un baffo e l’altro spelacchiato, con ciuffi di capelli tinti sparsi dappertutto. Due rottami, ma ancora apparentemente determinati.
Quando arriva il mio turno, salgo sul traghetto, mi avvicino al bigliettaio e realizzo con sgomento che non ho neanche un soldo. Venti centesimi mi separano dalla mia amata moglie, ma purtroppo sono costretto a scendere. Lei mi fulmina con uno sguardo, e vedo uscirle un filo di fumo dalle orecchie mentre le faccio capire a gesti che mica posso traghettare senza pagare il biglietto; porti pazienza e troverò una soluzione.
E mentre sono lì che valuto se sia meglio tornare a casa, recuperare i venti centesimi e ripresentarmi al traghetto oppure andare a Porto Garibaldi facendo il giro sul ponte della Romea (passare a nuoto non se ne parla; se mi viene voglia di bere degli idrocarburi, piuttosto mi tracanno una tanica di kerosene), uno dei due desperados  si sporge dal bordo dell’imbarcazione, e dopo aver fatto  roteare sopra la testa delle bolas, me le scaglia contro.
Riesco a malapena a schivare le prime due palle, ma la terza mi colpisce all’occhio sinistro.
Cado di schianto sulla banchina, in un lago di sangue.

Quando mi riprendo, ormai è troppo tardi, e me ne torno sconsolato verso casa, pensando alla mia amata perduta che si ritroverà in una terra ostile e sterminata, magari in una hacienda in mezzo alla pampa.
Ma non dispero, non può finire così. Appena finirò le ferie e mi sarò ripreso, mi organizzo per bene, magari telefono a Genova per sapere quando salpa il primo piroscafo per Buenos Aires e setaccerò l’Argentina da cima a fondo, finché non l’avrò ritrovata.

Anche se, secondo me, me la rimanderanno indietro prima.

... 

Due cose.
La  prima è che confido nel sense of humor degli amici argentini: capiranno che scherzo, e sapranno perdonarmi.
La seconda è che oggi compie gli anni l'amministratore delegato del Team, nonchè mio storico socio di beach tennis. Auguri da parte mia e  - mi sento di poter dire - di tutti gli amici del Bagno Spina e dei bagni vicini.
E accendi pure tranquillamente le candeline sulla torta: i pompieri li ho già preallertati io. 

martedì 14 settembre 2010

il racconto dell’infortunato - versione 1

Erano in quattro.
Brutti come il peccato e cattivi come il veleno. Verso le tre di notte stavano importunando una splendida ragazza in una zona buia dei viali esterni di Spina (vi chiederete: e tu cosa ci facevi alle due di notte in una zona buia dei viali esterni di Spina? E io vi risponderò: intanto erano le tre, e poi voi, farvi un po’ i cavoli vostri no, eh?) L’avevano circondata sghignazzando, forse erano ubriachi, e lei era terrorizzata. 


Mi sono avvicinato cercando di calmarli: “Ok ragazzi, adesso piantatela e andate a dormire!” Hanno cercato confusamente di mettermi a fuoco, con i loro occhietti ravvicinati sotto la fronte bassa, offuscati dai fumi dell’alcool. E non appena sono riusciti ad inquadrarmi, mi si sono avventati contro con veemente rabbia animale.
Sulle prime mi sono limitato solo a schivarli, poi mettendo in pratica le raffinate tecniche di lotta apprese studiando a fondo i film di Bud Spencer, con una sequenza di abili mosse ho fatto in modo che si mettessero fuori combattimento l'uno con l'altro.
Alla fine sono scappati verso casa (Porto Garibaldi o Vaccolino, forse), piagnucolando e inveendomi contro minacce irripetibili.
La ragazza, che si era accucciata sul marciapiede, mi si è subito avvinghiata addosso come un polipo, abbracciandomi, baciandomi e ripetendo tra i singhiozzi: “Grazie… grazie…”
Poi, all’improvviso, mi ha squadrato esclamando: “Ehi, ma, ma tu sei quello bravissimo a giocare a racchettoni!”
La ragazza era chiaramente sconvolta.
“Ti ho visto tante volte giocare al Prey.... Eri il mio preferito, ti guardavano tutte…”
Mai stato in quel bagno; chissà per chi mi aveva mai scambiato, il calo di tensione spesso gioca brutti scherzi.
Continuava a piangere, poi a ridere, e quando ho intravisto nei suoi occhi lo sguardo perduto della donna innamorata, ho cercato di staccarmi.
Sapete, è sempre stato un po’ il problema di noi sex symbol: le ragazze si appiccicano e poi non ti mollano più.
Le ho detto: “Ok bambina, tutto è finito, torna a casa e cerca di dimenticare…” Ma lei insisteva: “No, no... non puoi dirmi questo… Oh, ti prego, non mi lasciare!”
E mentre le sussurravo: “Su, dai… sei giovane, carina, e hai una vita stupenda davanti. Addio… e dimenticami!”, mi sono sciolto dal suo abbraccio, mi sono girato di scatto e mi sono spataccato l’occhio sinistro contro un palo della luce di viale Raffaello.

... 

Una piccola rettifica al post precedente.
Non siamo stati solo in tre a riuscire a cadere dalla bicicletta da fermi. Pare ce ne sia un quarto: eccolo.



giovedì 9 settembre 2010

infortuni di mezza estate

Un ferragosto costellato di infortuni.
Il primo è capitato a me. Uscito da una cena a casa di amici del Team, sono rocambolescamente riuscito a cadere in bici da fermo. Sembra facile, ma provateci.
Solo in tre, al mondo, siamo riusciti a farlo: io, Pippo e l’ispettore Clouseau.

 
gli altri due geni capaci di cotanta impresa;
loro però sono personaggi di pura fantasia...

In sostanza ero a cavallo della bici, di fianco al marciapiede, quando si è staccato dalla staffa il fanalino posteriore comprato dai cinesi, mia moglie lo ha raccolto da terra e me lo ha allungato, io mi sono divincolato per infilarlo nella borsa sotto il sellino, la ruota davanti della bici si è girata di 90 gradi ed io, con la mano occupata dal maledetto fanale e contorto come una biscia, ho clamorosamente mancato l’appoggio del piede sul cordolo e sono crollato schiantandomi sul selciato come una pera. 
Di testa.
E non sono ancora neanche tanto anziano. Pensate a cosa potrà succedere tra qualche anno...
Alla fine poi, niente di grave, solo un graffio sotto il sopracciglio, anche se sanguinavo come uno appena uscito da una vergine di Norimberga.
Beh, sinceramente proprio sobrio non ero, qualcosina avevo bevuto, ma non è questo il fatto, visto che poi in sella alla bicicletta sono riuscito a tornare a casa.
Anche agevolato dal fatto che a Spina – notoriamente progettata da un’urbanista ubriaco - non esiste un rettilineo, e che basta imbroccare per il verso giusto la prima curva che  poi le altre vengono da sé.
Se però la prima curva la sbagli, allora è un’ecatombe: il tuo percorso si trasforma in un videogame truculento dove ogni dieci secondi c’è uno schianto, in seguito al quale ti appare davanti agli occhi la scritta “Game over!

ritratto dell'architetto che ha disegnato 
il piano urbanistico del Lido di Spina

Quando sono arrivato a casa, le luci dello specchio del bagno mi hanno rivelato la cruda realtà.
Avevo un’ammaccatura sullo zigomo sinistro, sangue che sgorgava copioso dal sopracciglio ed un inquietante versamento sulla palpebra, che assomigliava ad una velatura di ombretto, inizialmente rosa, poi fucsia, violetto ed infine verdino. 
Molto pulp.
Se la metà destra del viso era la mia solita (e quindi di una bellezza imbarazzante), quella di sinistra era un curioso mix tra il volto di un pugile suonato e quello di una drag queen mal truccata.

...

Il giorno dopo, fin dal primo mattino mentre salivo in auto per tornare a Ferrara a recuperare un paio di occhiali di ricambio - visto che gli altri si erano allegramente fracassati - e per diversi giorni ancora, è stato un continuo giustificare l’accaduto a tutti quelli che incontrandomi esclamavano: “ARRRGHH! Ma cosa hai fatto?!?”, guardando prima me con l’espressione di chi si imbatte in Elephant man o in Quasimodo di Notre Dame de Paris, e poi mia moglie con una dolorosa espressione di solidale commiserazione.
All’ennesimo  resoconto sul triste accadimento mi sono rotto un po' le balle, e allora piano piano ho cominciato a infiorare la storia, a renderla più interessante, ambientandola in contesti più esotici…

Un po' di pazienza e vi farò sapere.

lunedì 6 settembre 2010

piccoli inconvenienti di inizio ferie

Primi giorni di agosto.
Appena arrivato all’ombrellone, tutto era già stato deciso. L’infido amministratore delegato aveva già organizzato tutto, ed io ero l’indispensabile quarto del gruppo. Neanche il tempo di appoggiare il telo sul lettino, neanche il tempo di spalmarmi un po' di crema: sfilo la racchetta dallo zaino e mi avvio verso il campo. 
Non mi accorgevo che, nella mattinata torrida, nuvole oscure stavano addensandosi all’orizzonte.
Partita, rivincita, bella, scambio di coppia, nuova partita, rivincita, bella, passano veloci un paio d’ore, al termine delle quali ritorno verso l’ombrellone, percependo però qualcosa di anomalo.


Nonostante la  temperatura esterna fosse ben sopra i trenta gradi, sotto il mio ombrellone il termometro segnava -18.
Mi sono avvicinato garrulo al lettino di mia moglie, intuendo che qualcosa non andava sotto il sottile strato di brina. D'istinto mi sono chiesto perché i predatori di reperti archeologici avessero depositato la maschera funeraria di Tutankhamon - trafugata dal Museo Egizio del Cairo - sotto il mio ombrellone, ma immediatamente mi sono reso conto che quella che vedevo non era la maschera funeraria di Tutankhamon...


Era proprio mia moglie.
Aveva un muso tanto lungo che arrivava al Logonovo.
Con la voce della bambina indemoniata del film “L’esorcista”, mi comunica: ”Non ne posso più: io me ne vado a casa.”
Raccoglie tutta la sua roba e imperterrita si avvia a  passo di marcia sulla passerella.
La inseguo cercando di blandirla, mi aggrappo allo zaino ma vengo trascinato come il pellerossa dei western che, colpito da una pallottola, viene disarcionato dal cavallo ma rimane impigliato nelle briglie. Arrivato alla rastrelliera delle bici, la guardo partire spingendo sui pedali della Graziella come un ciclista gregario in fuga (cfr. "Boogie" di Paolo Conte, di cui consiglio di ascoltare tutto a tutti).
Non mi resta che tornare a raccogliere le mie povere cose, spiegare sommariamente la situazione agli astanti che fingevano  di non avere notato  l’increscioso episodio, e me ne torno a casa meditando su come cavarmela.
Tutto sommato poteva andare peggio; dopo due ore passate ad implorare perdono strisciando come un verme, ci siamo finalmente chiariti.
Il tempo di passare lo straccio sul rivolo di sangue che, attraversando il cortile, scolava nella caditoia stradale di fronte a casa, che eravamo già pronti per tornare in spiaggia.
Che poi non era neanche tanto, il sangue.
Solo che mi era uscito tutto dal naso.
Me l’aveva sempre detto il mio medico, che ho i capillari deboli.

...

Ne approfitto per due cose:
La prima: auguroni di buon compleanno alla mia signora, sperando che la vecchiaia la addolcisca un po'.
La seconda: la mia signora, grande lavoratrice, ha pubblicato su Facebook le tanto attese foto del D-day, il torneo del bagno Spina di Ferragosto. Chi non fosse in grado di visualizzarle, si faccia vivo nei commenti, o come diavolo preferisce: gli forniremo tutte le indicazioni necessarie.